Il 19 ottobre, ad una settimana esatta dal voto di ballottaggio per le presidenziali, Dilma Rousseff, la regenta brasiliana uscente che sembra avviata ad una facile riconferma, ha fatto una dichiarazione sorprendente quanto coraggiosa. Ma che, forse, potrebbe anche avere l’effetto di un boomerang. Ha ammesso l’esistenza di uno scandalo-Petrobras ad alti livelli politici. In Brasile, però, da tempo è un segreto di Pulcinella che questo scandalo tocchi anche lei. Soprattutto lei. Sono mesi che i media battono su una tesi inchiodante: anche la Rousseff era in prima linea nell’utilizzo di fondi neri provenienti dal colosso petrolifero statale, Petrobras appunto, per corroborare le sue fortune politiche. Un rapporto d’affari privilegiato quello con la compagnia, iniziato quando ella era ancora ministro di Lula. Alla base della sua prima elezione a capo dello Stato, nel 2010, così come a sostegno della stabilità del suo governo, c’era in realtà il pagamento di tangenti a beneficio di alleati (dentro e fuori la politica), amministratori regionali e membri del Parlamento, tangenti pari al 3% del valore dei contratti appetitosi stipulati con Petrobras.
Lo scandalo era scoppiato a marzo. Un ex alto dirigente della compagnia, l’ingegner Paulo Roberto Costa, era stato arrestato con l’accusa di aver gestito in modo poco trasparente una somma pari a dieci miliardi di dollari. “Se parlassi ora, sono sicuro che salterebbero le elezioni in Brasile”, aveva detto a caldo ad un settimanale nazionale, il Veja. Ma poi non ha saputo più trattenersi, e così a settembre, ormai ad un mese di distanza dalle presidenziali, il caso è divenuto di interesse internazionale. Costa ha cominciato a fare nomi, e dall’ Economist veniva salutato come il grande accusatore dell’establishment verdeoro. Deputati, senatori, governatori, lo stesso presidente della Camera, il ministro dell’Energia, presidenti dei partiti di maggioranza: tutti implicati in un meccanismo che premiava l’azienda statale negli appalti e nelle acquisizioni più lucrosi, in cambio di “foraggiamenti” al sistema più che munifici. Sono arrivati poi gli affondi da sciacallo del prossimo competitore della Rousseff, , Aecio Neves, che ha ricordato come già dal 2003 al 2005, cioè dai tempi di Lula, il mentore della Rousseff, lo stipendio doppio ai membri del Congresso, quello regolare e quello abusivo, fosse una prassi.
“I documenti dell’inchiesta sono ancora secretati, ma se c’è stata sottrazione di denaro pubblico mi impegno a risarcire i miei concittadini”. La presidentessa, donna di gran tempra abituata a navigare in procellosi mari, ha superato il primo turno delle elezioni senza troppi danni chiudendosi in un riserbo strategico sulla vicenda; altrettanto strategicamente ha scelto di parlare ora, quasi alla vigilia del magnum discrimen con Neves, per accreditarsi come la politica responsabile che fa ammenda dei suoi errori, per il bene del Paese, nel momento in cui sa di dover mettere in gioco tutto. E se ci sarà qualcosa da pagare lo farà, conformemente a quanto sarà deciso dalla giustizia.