Undici settembre. Non aveva scelto una data a caso chi aveva architettato l’attacco all’ambasciata Usa di Bengasi nel 2012. Quell’uomo, per la giustizia Usa, è Ahmed Abu Khattala, catturato in Libia nella notte tra il 14 e il 15 giugno 2014 da forze speciali della Us Delta Force, e quindi tradotto a Washington DC, per essere messo sotto processo. A dir la verità l’imputato, già noto durante il regime di Gheddafi come estremista oppositore del raìs, continua ad affermare di non aver mai ucciso americani in vita sua – anche se è altrettanto nota la sua avversione all’intervento di Washington in Libia -, e di essere estraneo ai fatti di sangue di Bengasi. Niente di paragonabile all’apocalisse di Manhattan, ma di certo quell’11 settembre cirenaico non fu meno luttuoso per gli Stati Uniti: nell’attentato alla sede diplomatica a stelle e strisce, infatti, morirono tre funzionari e l’ambasciatore in persona, John Christopher Stevens. Si sospettava fin dall’inizio che Khattala, in fondo, avesse qualcosa a che fare con quell’operazione terroristica, ma poi arrivarono le testimonianze raccolte sul suolo libico e pubblicate dal New York Times nel dicembre del 2013: e così l’uomo, che nella vita di tutti i giorni si guadagna da vivere come appaltatore di costruzioni, divenne il ricercato n. 1 per quella strage.
Il 15 ottobre il Gran giurì ha aggiunto altri diciassette nuovi capi di imputazione a carico di Khattala, già accusato di collaborazione con terroristi a fini cospirativi anti-Usa. Di questi capi di accusa, quelli che potrebbero essere decisivi per un’eventuale condanna a morte sono i seguenti: quattro che riguardano l’uccisione di persone nel corso di una attacco in una struttura federale americana; uno relativo all’omicidio di un’autorità ; e tre che concernono l’omicidio di funzionari di uno Stato sovrano straniero.
Mentre a Washington il processo contro lo stragista di Bengasi fa il suo corso, nella città che di quella strage è stata il teatro si attende l’ingresso delle truppe del generale Khalifa Haftar, pronte a liberarla dalle bande islamiche.