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L’ebola sbarca in Europa

Infermiera contagiata a Madrid

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Il primo caso di ebola accertato in Europa è anche il primo caso di trasmissione extra-africana del virus. L’infermiera spagnola che il 6 ottobre è risultata positiva alle verifiche cliniche, a differenza di tanti cooperatori, volontari, medici e giornalisti non aveva mai messo piede in Africa: la sua “colpa” è stata quella di aver avuto contatti al Carlos III, l’ospedale madrileno in cui lavorava, con Manuel García Viejo, missionario   ammalatosi in Sierra Leone nella seconda metà di settembre, rimpatriato in terra iberica il 22 e spirato sotto gli occhi dei sanitari tre giorni dopo. Sessantanove anni, Viejo, scrive l’edizione online di El País, apparteneva all’Ordine di San Giovanni di Dio (meglio conosciuto come Fatebenefratelli), ed era dunque collega di tonaca dell’altro missionario, Miguel Pajares, deceduto il 12 agosto a causa dello stesso virus: anch’egli era stato urgentemente fatto rientrare a Madrid, ma anche per lui non c’era stato nulla da fare. Morì nel suo letto di ospedale dopo cinque giorni di inutili tentativi terapeutici. La sua straziante esperienza da degente, però, non aveva lasciato strascichi.
Contro ogni sua intenzione, invece, Viejo, che in Sierra Leone, da direttore medico dell’ospedale di Lunsar, combatteva l’ebola in prima linea,  si è trovato a lasciare una “eredità” pericolosissima. La donna è stata subito posta in isolamento. E in Spagna dilaga la psicosi, che promette di travalicare i Pirenei: il ministero della Salute ha convocato un vertice di crisi per fare il punto sulla situazione. Si tenta di porre un argine a ciò che ancora può essere arginato.

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