E sono due. Dopo Omar Gonzalez, il quarantaduenne che il 19 settembre, superata la recinzione della Casa Bianca, si è gettato, coltello in mano, in una corsa forsennata sul “campo da picnic” intorno alla dimora presidenziale, il pomeriggio del 20 è stata la volta di Kevin Carr. Quest’ultimo, giunto con la sua auto a pochi metri dall’ingresso del n. 1600 di Pennsylvania Avenue, non si è fermato allo stop degli agenti e ha violato la “no car zone”.
Il primo, l’emulo pericoloso di William Webb Ellis, è in realtà, lo ha dichiarato egli stesso, un reduce della Seconda guerra del Golfo, ridottosi a vivere per strada. Uno dei tanti della sua generazione segnati in maniera indelebile da un conflitto lungo e spinoso come quello del Vietnam, ma a differenza di questo destinato a non essere né celebrato né mitizzato. Afghanistan e Iraq: per quanti soldati born in U.S.A. tra l’inizio dei ’70 e la prima metà degli ’80 il sogno americano si è infranto su uno di quei fronti? Gonzalez, texano di sangue ispanico, è uno di questi: a lui la guerra non ha lasciato menomazioni fisiche, ma psichiche. Un “trauma da post-guerra”, lo definisce la sua famiglia.
L’altro, Kevin Carr, è troppo giovane per essere un reduce: di lui si sa infatti che ha diciannove anni e che viene dal New Jersey.
Per una pura combinazione, il presidente Obama e la sua famiglia non si trovavano tra le mura della Casa Bianca mentre, al di fuori di essa, accadevano questi spiacevoli episodi: poche ore, prima, infatti, erano partiti per Camp David, la residenza di campagna dei presidenti Usa, nel Maryland. Ma la paura durante l’irruzione di Gonzalez c’è stata, tanto è vero che si è provveduto immediatamente ad evacuare un’intera ala dell’edificio. “E questo non è accettabile”, ha tuonato il direttore della sicurezza della White House, Eric Donovan. Conseguentemente, le misure di sorveglianza intorno alla magione holbaniana (James Hoban, infatti, era l’architetto che la eresse, tra il 1793 e il 1800, e poi la ricostruì anche, nel 1829) sono state rafforzate.