Se i raid in Siria della coalizione anti-Isis sono, dal 23 settembre, la prassi, la situazione in Yemen è la vera emergenza del momento. Nella capitale Sanaa domenica 28 settembre nuovi scontri sono divampati tra i ribelli sciiti e le forze governative che tentano di riconquistare il riconquistabile, dal momento che la città è ormai sotto il quasi totale controllo dei primi. A dar loro manforte c’è anche il braccio locale di al-Qaeda, Ansar al Sharia, con un attacco alla locale ambasciata Usa che ha provocato il ferimento di numerosi soldati yemeniti di guardia all’edificio. Washington pensa che il vero obiettivo dell’attentato fossero proprio i militari, e non la sua sede diplomatica.
Tornando ai raid, l’Osservatorio siriano per i diritti umani informa che nel corso dei bombardamenti della sesta notte dall’inizio della campagna sono state distrutte tre raffinerie in mano all’isis, al confine con la Turchia.
Arenatasi la trattativa sul nucleare, l’Iran dimostra di non voler assolutamente retrocedere al rango di “Stato canaglia”: il comandante delle forze di terra della Repubblica islamica, Ahmad Reza Pourdestana, ha dichiarato all’Irna (l’agenzia di stampa iraniana) che i pasdaran non permetteranno ai miliziani dello Stato islamico di avvicinarsi ai confini iraniani dalla provincia di Diyala, che è il territorio iracheno nelle mani dell’Isis confinante con l’Iran. Ufficialmente si resta ancora sul piano dell’eventualità, dunque; eppure, da Teheran trapelano notizie relative ad un contatto già avvenuto tra reparti di pasdaran e truppe Isis nel Kurdistan iracheno.
Intanto, il portavoce di Al-Nursa, il ramo siriano di al-Qaeda, in un videomessaggio promette ai paesi della Coalizione anti-Califfato che “la guerra durerà decenni”, mentre su Twitter i messaggi di cordoglio di alcuni esponenti di primo piano del gruppo Khorasan sembrano dare conferma alla notizia che il loro leader, al-Fadhli, è stato effettivamente abbattuto durante i bombardamenti dei giorni scorsi.