Mercoledì 24 settembre, bollettino del secondo round di attacchi aerei sulle regioni della Siria dove è presente l’Isis: nel governatorato di Deir Ezzor si contano quattordici jihadisti uccisi, mentre in quello di al-Hassaka, come denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani, a cadere sotto le bombe sono stati, disgraziatamente, cinque civili.
I consueti errori di calcolo delle “guerre di precisione”: per il Pentagono, comunque, ciò che dà senso alla nuova giornata di operazioni è l’essere riusciti a portare danni ad almeno una dozzina tra raffinerie e pozzi petroliferi controllati dal Califfato, cioè alle sue fonti di finanziamento.
Si allargano, nel frattempo, le maglie della coalizione: l’assemblea generale delle Nazioni Unite, datata anch'essa mercoledì 24, ha dato l’occasione ad Obama di raccogliere nuove adesioni europee al fronte armato internazionale contro il terrorismo. Il principio per Washington resta lo stesso che vale dall’inizio delle operazioni in Iraq: gli Stati Uniti intanto fanno da apripista, e poi chi vuole dei venticinque Paesi presenti alla conferenza di Parigi (quella che il 15 settembre ha sancito la nascita dell’alleanza anti-Isis, e il patto di collaborazione con i Paesi della Lega Araba, che in realtà stanno facendo la parte del leone in queste prime ore di guerra), può aggregarsi e/o accodarsi. La Gran Bretagna è ansiosa di fare il suo ingresso “attivo” nella mischia: il premier Cameron per domani ha convocato il Parlamento che dovrà approvare l’intervento inglese in Siria al fianco di Usa e alleati. Al 97% sarà sì, dal momento che sul voto c’è già l’accordo dei tre principali partiti britannici (Laburisti, Conservatori e Liberal Democratici). Anche Belgio, Olanda, Grecia e Francia si dicono pronti a dare il loro fattivo contributo. E l’Onu lancia una risoluzione per impedire, o limitare il più possibile, l’afflusso dall’Occidente di combattenti jihadisti nei Paesi teatro del nuovo conflitto.
Buone notizie anche per i ribelli moderati anti-Assad: riceveranno un nuovo finanziamento Usa pari a quaranta miliardi di dollari. “Da parte nostra, continueremo a sostenere i gruppi moderati in Siria per tutto il tempo che l’Isis costituirà una minaccia ed Assad sarà al potere”, ha dichiarato il segretario di Stato Kerry.
Sull’altro fronte anti-Califfato, quello iracheno, mentre i miliziani distruggono la Chiesa Verde di Tikrit e i peshmerga arginano l’offensiva Isis per conquistare Kobane, nuovi raid francesi vengono attuati a distanza di una settimana da quelli dei caccia Rafale: una ritorsione doverosa dopo la barbara decapitazione di Hervè Pierre Gourdel, l’ostaggio francese che era nelle mani di una cellula algerina imparentata con lo Stato islamico. Del resto, proprio la serie di decapitazioni firmate dagli uomini di al-Baghdadi dalla fine di agosto (Fowley-Sotloff-Haines) ha fatto crescere alla Casa Bianca la convinzione che la guerra contro l’Isis è oltremodo giusta.