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Afghanistan, Ghani presidente

La verifica dei voti proseguiva da luglio

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Terminata la lunga era di Hamid Karzai, l’Afghanistan si è presentato al voto del 5 aprile per cambiare pagina. Ai nastri di partenza si schieravano otto candidati: sei indipendenti (Ghani, Rassoul, Hilal, Sherzai, Sultanzoy e Arsala), un islamista (Sayyaf) e il leader della Coalizione Nazionale d’Afghanistan, Abdullah Abdullah. Quest’ultimo, da indipendente, era già stato lo sfidante di Karzai nelle precedenti elezioni presidenziali, quelle del 2009, e aveva fondato il partito di cui è ora alla guida proprio per fargli opposizione, dopo essere uscito sconfitto, e col dente avvelenato, dalla contesa per il ballottaggio. Le cose andarono così: Karzai, superfavorito, vinse al primo turno, ma Abdullah, il candidato che aveva ricevuto più voti dopo di lui, sollevò un tale polverone con le sue recriminazioni relative a brogli (non del tutto infondate, in realtà, come poi avrebbe certificato la commissione elettorale) da ottenere la sua riammissione in gioco e il ballottaggio. Poi, a pochi giorni dalla sfida decisiva, con un gesto che lasciò molti perplessi, Abdullah decise di gettare la spugna, temendo nuovi brogli. Cinque anni dopo pochi, al nuovo appuntamento elettorale, avrebbero scommesso sul fatto che Abdullah non avrebbe vinto: a questo giro la palma di favorito spettava di diritto a lui. Effettivamente il medico oftalmologo (è questa la professione di Abdullah) chiuse il primo turno con più voti di tutti, arrivando al 44%; percentuale non sufficiente, però, per far sua la partita immediatamente. Perciò dovette andare al ballottaggio, contro Ashraf Ghani Ahmadzai, piazzatosi alle sue spalle col 31% delle preferenze. E così fu un derby tra ministri; Ghani, infatti, era il ministro delle finanze uscente, ma anche Abdullah aveva avuto un trascorso da ministro del poi odiato Karzai: era stato, infatti, il titolare del dicastero degli esteri nel  governo di transizione da lui presieduto subito dopo la caduta del regime talebano. Il ballottaggio, dapprima fissato per il 28 maggio, slittò poi al 14 giugno. Il 5 luglio vennero annunciati i primi risultati: sorpresa, Ghani appariva subito in testa col 56, 4%, e ad Abdullah non restava che “inseguire” riprovandoci col “dagli all’untore”: cinque anni dopo, nuove accuse di brogli, stavolta all’indirizzo del nuovo competitore. A Kabul in fretta e furia arrivò Kerry, che decise: riconteggio completo delle schede, con una scrematura scrupolosa di quelle sospette. Altri mesi di attesa: la ripetizione “correttiva” dello scrutinio occupò il resto dell’estate, ma in tutto questo tempo non un solo segnale giunse a conforto di Abdullah.  Finalmente, a cavallo tra il 16 e il 17 settembre, l’immane fatica venne a compimento: l’agenzia di stampa Pajhwok, rifacendosi a fonti vicine alla Commissione elettorale nominata da Kerry, era la prima a salutare Ghani nuovo presidente afghano, alla luce di uno scarto di ben ottocentomila voti rispetto al suo avversario. Ora la proclamazione ufficiale dovrebbe essere questione di giorni: riuscirà l’ex medico personale del leone Massud a digerire la seconda sconfitta elettorale consecutiva?  

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