Non solo Isis: c’è anche l’ebola nella testa di Obama. Che nelle terre martoriate dallo spaventoso morbo ha in mente di mettere in piedi una strategia simile a quella già attuata in Iraq: inviare forze di supporto. Come per peshmerga e iracheni, la parola magica è ancora quella: consulenti sul campo. Ingegneri e personale ospedaliero che collaboreranno con medici e infermieri del posto, oltre che con le organizzazioni sanitarie internazionali. Ma non solo: anche un generoso contingente militare che darà una robusta mano nel garantire velocità e protezione ai trasporti, sicurezza alla movimentazione di materiali e strumenti, coordinamento alle operazioni di soccorso. Senza dimenticare che, come dice la presidente di Medici Senza Frontiere, Joanne Liu, “lottare contro questo virus è ormai diventato una vera e propria guerra”. Per la comunità internazionale e gli Usa, dunque, un fronte bellico non meno importante di quelli vicino- e mediorientali. Tremila uomini stanno per arrivare in Liberia. Il loro quartier generale sarà a Monrovia, dove accanto a quartieri appena usciti dalla quarantena ce ne sono altri in cui l’emergenza è ancora al massimo grado. Come Paynesville, alle porte della capitale: qui, allo stato attuale, a fronte di una domanda di più di un migliaio di posti letto, ce n’è una disponibilità pari a poco più di cento.
Operation United Assistance: questo il nome ufficiale della campagna anti-ebola. Tutti i particolari sono stati forniti dal presidente nel corso della conferenza di presentazione dell’iniziativa, tenutasi il 16 settembre presso il Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta.