E’ vero: nonostante la vicinanza apofonica, Khamenei non è Khomeyni e non può certo definirsi un nemico irriducibile dell’Occidente. Eppure, quelle parole, “Gli Usa hanno le mani lorde”, con cui il 15 settembre l’ayatollah successore del feroce Ruhollah ha rimandato indietro deluso l’ambasciatore americano a Baghdad che, per conto di Obama, gli chiedeva un aiuto nella campagna contro l’Isis, riecheggiano vagamente la più celebre frase khomeyniana, “Gli Usa sono il Grande Satana”. Poi si può considerare che l’uno, Khamenei, ha detto quel che ha detto mentre usciva dall’ospedale, dopo essersi sottoposto ad un’operazione, mentre gli accenti di Khomeyni tuonavano al centro di una piazza di Teheran gremita di pasdaran e fanatici vari. Ma la sostanza, per l’attualità internazionale, in fondo non cambia: l’Iran resterà neutrale nella guerra tra Isis e Usa.
Coloro che si intendono di politica mondiale sanno bene quanto possa essere insidiosa la neutralità iraniana. Da quando la splendente Persia è diventata una repubblica teocratica, sul campo ha affrontato una sola vera prova alla luce del sole: il terribile conflitto con l’Iraq che ha attraversato tutti gli anni ’80. Un conflitto, conclusosi sostanzialmente con un sanguinosissimo 0-0 perché, alla fine, Washington pensò bene di appoggiare un belligerante e, nello stesso tempo, anche l’altro. Ma, dopo dieci anni di bombe e distruzioni, entrambe le parti in lotta stavano ancora in piedi. Potenzialmente l’Iran, se non ha proprio la stessa tecnologia militare di Israele, ha ben poco da invidiargli: e si sa che una eventuale guerra ebraico-persiana sarebbe uno scenario apocalittico per il Vicino e il Medio Oriente. Un incubo da evitare assolutamente. Per non parlare della questione del nucleare iraniano, che da anni è al centro di delicatissimi negoziati atti a scongiurarne imprevedibili impieghi offensivi. La sensazione è che con l’Iran si sia sempre usata la regola del non stuzzicare il cane che dorme: parliamo di una nazione che Licurgo-Khomeyni volle come una specie di Sparta, in cui però al culto della caserma si sostituisse quello della moschea, ma senza rinunciare ad un’adeguata forza armata. In una parola il paese degli ayatollah è una grande potenza militare che conviene lasciare inespressa: anche a costo di tollerare il suo appoggio occulto a quasi tutte le organizzazioni e le milizie estremistiche che sconvolgono il Medio Oriente. Per parecchie di esse, anzi, l’Iran è addirittura un esempio. A Teheran neutrali sì, insomma, ma non certo more Helvetico: ad ogni modo, tuttavia, meglio tollerare la longa manus iranica dietro agli Hezbollah che vedere i carri armati dei discendenti islamizzati di Dario e Serse scendere in campo.
La richiesta di cooperazione formulata da Obama a Teheran nelle ultime ore si poneva chiaramente sulla scia dei segnali modernisti lasciati intravvedere dal nuovo presidente Rohani: un gesto di fiducia importante sulla strada del “capovolgimento” dello status dell’Iran, da nazione canaglia a nazione amica. Ora è presto per dire se si tratti di un passo indietro in una temperie diplomatica promettente; di sicuro è altrettanto prematuro ipotizzare che dietro il diniego di Khamenei si nasconda la segreta volontà di schierarsi a favore del Califfato, o comunque di non danneggiarlo.