18 settembre 2014. Una nuova Bannockburn per la Scozia? Di sicuro, però, stavolta i picchieri di Robert Bruce sono i pacifici elettori scozzesi, che col loro voto potranno decidere dell’indipendenza del loro Paese dall’Inghilterra. E, per la prima volta nella storia, tra di loro ci saranno anche i sedicenni, i ragazzi nati tre anni dopo l’uscita nei cinema di Braveheart, il memorabile racconto filmico della memorabile epopea indipendentista della Scozia, la Scozia bassomedievale del re Bruce, appunto, ma soprattutto di William Wallace. Che sia la “linea verde” dell’elettorato di Scozia a rinnovare nelle urne le gesta dello stesso Wallace e di Rob Roy, rispettivamente lo Spartaco e il Robin Hood della storia scozzese?
Scozia e Inghilterra, Inghilterra e Scozia: così vicine e così lontane, da sempre. La regione che l’antico limes di Adriano separa dal suolo d’Albione divenne stato vassallo del regno inglese sotto Enrico II Plantageneto e più ancora sotto Edoardo I (XIII sec.), per poi conquistare l’indipendenza nel 1320 grazie a Robert Bruce. La separazione tra i due regni si mantenne fino al 1603 quando, con l’Unione delle corone, Giacomo VI Stuart, il re di Scozia che aveva ereditato anche la corona d’Inghilterra, proclamò de jure una realtà che era tale già de facto. Nel 1707 l’Atto di Unione portò a perfezionamento questo processo, e Inghilterra e Scozia si fusero nel Regno Unito o regno di Gran Bretagna. Naturalmente in tutto questo lasso di tempo non erano mancate innumerevoli rivolte del popolo scozzese, dapprima per motivi religiosi (la Scozia, divenuta radicalmente protestante, si opponeva alle politiche cesaropapiste di Londra) poi dinastici (gli scozzesi non accettavano che la dinastia degli Stuart venisse sostituita da quella degli Orange). Si teneva così vivo un sentimento indipendentista, destinato a diventare meno violento e più “democratizzato” nel corso dei secoli, ma non meno presente e convinto. Il culmine di tutto questo cammino si ebbe nel 2011, con la vittoria alle politiche del Partito Nazionale Scozzese, nato nel 1934 e affiancato, a partire dal 1980, da un braccio armato indipendentista, lo Scottish National Liberation Army, sorto su imitazione dell’ETA. Uno dei primi atti della nuova maggioranza di governo è stato proprio quella di promuovere il referendum sull’indipendenza scozzese, che, in caso di vittoria dei sì, porterebbe alla nascita di una Repubblica parlamentare. Per questa consultazione che chiama in causa l’orgoglio nazionale si sono effettuati sondaggi sin dal 2011. E sempre con esito favorevole alla causa secessionista. Trentadue anni prima un pionieristico tentativo di devolution per via referendaria si era arenato sui problemi di quorum.
A due settimane dallo storico appuntamento del 18 settembre non sembra di cogliere dati in controtendenza rispetto agli orientamenti espressi dagli scozzesi negli ultimi anni: stando all’ultimo aggiornamento demoscopico pubblicato dal Sunday Times il 7 settembre, nel paese del kilt e delle cornamuse i cittadini pro-indipendenza sarebbero saldi al 51%, mentre gli unionisti non sfonderebbero la soglia del 49. Ai fedeli alla corona non resta che fare da cassandre, presagendo foschi scenari per una Scozia scissa dal Regno Unito. E Londra, cosa pensa? Come si prepara Buckingham Palace ad un evento che potrebbe avere conseguenze politiche irreversibili per l’antica terra dei degli Scoti e dei Pitti (gli altrettanto celebri Caledoni erano una tribù dei Pitti), “sì cara al cuore” almeno dai tempi di Edoardo I Plantageneto? Ai tempi di quest’ultimo, per tenere a freno i bollori nazionalistici scozzesi, si usava comprare i maggiorenti locali assommando nuove terre, titoli e rendite a quelli che possedevano già. Oggi si pigia sulla promessa di una prosecuzione sempre più decisa nel processo di devolution, quel processo che ha già fruttato nel ’97, in piena età laburista, la nascita di un Parlamento autonomo: il cancelliere dello Scacchiere britannico, Osborne, propone una maggiore autonomia in materia fiscale e di welfare per Edimburgo. Per avere questi privilegi tutto quello che gli scozzesi devono fare è votare no al referendum: con buona pace dei propositi nazionalistici cruenti o incruenti, covati o apertamente manifestati.