Incostituzionali: con questa definizione Lee Yeakel, giudice federale di Austin, ha bocciato sabato 30 agosto le leggi restrittive in materia di aborto che avrebbero dovuto entrare in vigore lunedì. “Limitano in modo non dovuto il diritto delle donne di abortire”. Per Rick Perry un altro intralcio non da poco, dopo la vicenda dei milioni negati all’ufficio del procuratore distrettuale che gli è costata l’incriminazione per abuso di potere. Il governatore repubblicano comunque ha già promesso ricorso.
Aborto vietato dopo la ventesima settimana di gravidanza ma anche e soprattutto parametri architettonici e condizioni di comfort rigorosi fino al parossismo per le cliniche abortiste: erano questi i due punti di forza del testo firmato da Perry. Pur di ridurre drasticamente il numero delle cliniche dedite alla pratica abortiva, e far desistere tante partorienti pentite costringendole a fare parecchi chilometri in più per trovare una struttura ospedaliera “alleata”, si era pensato bene di inventare cavillose regolamentazioni relative all’altezza dei soffitti, alla messa a norma degli impianti di riscaldamento e perfino alle misure dei parcheggi. La decisione di Yeakel di rispedire al mittente le norme è una battuta d’arresto nel cammino che conservatori e antiabortisti percorrevano con successo dall’autunno 2013: a novembre, infatti, passò la contestata “admitting privileges provision” che, imponendo ai medici di vivere a meno di trenta miglia dalle cliniche dove, fino ad allora, le gravidanze venivano legalmente interrotte in Texas, le ridusse di fatto da quarantuno a diciannove. Ora, in base a queste nuove limitazioni fatte con la riga del geometra, almeno un’altra dozzina di strutture avrebbe dovuto chiudere i battenti. Ma la forbice del giudice si è incaricata di prevenire la mannaia del legislatore.