Il medico americano Kent Brantly, cha alla fine di luglio aveva contratto l’ebola in Liberia ed era stato il primo camice bianco ad offrirsi di sperimentare su di sé il siero ZMapp, è stato dimesso il 21 agosto dall’Emory University Hospital di Atlanta, dove si trovava ricoverato dal 2. Su di lui, come sull’infermiera sua collaboratrice Nancy Writebol, curata insieme al dottore con la medesima terapia, lo ZMapp, che, come spiega la Cnn, è “un anticorpo monoclonale di tre topolini”, sembra aver fatto effetto, anche se, ammettono i medici dell’ospedale, non si può stabilire in che misura esso sia stato realmente “utile per la loro guarigione”. La prudenza dello staff sanitario dell’Emory è giustificata: in un altro caso si è già visto come un trattamento a base dello stesso siero sia stato del tutto inefficace contro il virus. Il riferimento, naturalmente, è alla morte, il 12 agosto scorso a Madrid, di un prete missionario spagnolo di 75 anni, Miguel Pajares, ammalatosi anch’egli in Liberia e poi rimpatriato.
Intanto, dopo Kenya e Camerun (19 agosto), anche il Sudafrica ha chiuso le frontiere ai viaggiatori provenienti dai tre paesi epicentro dell’epidemia, e cioè, com’è noto, oltre alla Liberia, la Guinea e la Sierra Leone. I cittadini sudafricani che, per un qualsiasi motivo, si trovassero lì, al rientro in patria dovranno sottoporsi ad un check-up rigoroso e prestarsi ad accertamenti a mezzo questionario. Il Kenya, col Gambia, ha anche chiuso le comunicazioni aeree con quegli stati.