Arrivano gli americani ad Erbil! Non si tratta di truppe di occupazione e/o di liberazione (oltretutto i sondaggi attuali lo sconsiglierebbero), ma di una pattuglia di consulenti militari del Pentagono. Osservatori e istruttori, in un numero compreso tra i cento e i centotrenta. Già qualche ora prima dell’inizio dell’intervento aereo in Nord Iraq Obama aveva promesso un intervento parallelo anche sul fronte umanitario: questa mossa perfeziona quella promessa, già in parte mantenuta con una serie di raid mirati a sganciare aiuti in favore delle popolazioni travolte dall’avanzata degli estremisti, soprattutto le minoranze, com’è chiaro.
Sul tappeto la questione più urgente è l’emergenza yazidi: contro i sincretisti mediorientali sembra essersi accanita la repressione dell’Isis, più che contro i cristiani. A disposizione dei nuovi “inviati speciali” USA c’è un piano operativo già pronto, il cui obiettivo è quello di aprire una via di fuga per circa 30.000 di essi intrappolati sul monte Sinjar: nella sua elaborazione sembra aver partecipato, per una buona metà, anche la Gran Bretagna, segno di un coinvolgimento sempre maggiore dei principali stati europei nella questione irachena. Il premier inglese Cameron, in effetti, non nasconde la volontà del Regno Unito di fare quanto è necessario per svolgere degnamente “la propria parte”. Dalla Francia, nelle stesse ore, arriva un aiuto che si potrebbe definire anche più “fattivo”: rifornimenti di armi per i peshmerga. E l’altra sfera di competenza degli uomini che arrivano da Washington è proprio l’assistenza militare da prestare a beneficio delle truppe curde: solo in termini di consulenza, sia chiaro.