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Khmer rossi: ergastolo trentanove anni dopo

Crimini contro l’umanità: concluso il processo per l’ex primo ministro e l’ex presidente del regime

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Per Nuon Chea e Khieu Samphan le porte del carcere si erano aperte nel 2007. Il primo, 88 anni oggi, venne arrestato il 19 settembre, mentre si trovava nella sua casa di Pailin. Il secondo, 83, finì in manette insieme alla moglie due mesi dopo, il 12 novembre. I capi di imputazione, pesantissimi, erano quelli legati ai crimini commessi durante la loro stagione di potere: parliamo, infatti, di due degli uomini più potenti, dopo Pol Pot, del regime comunista cambogiano dei Khmer rossi (1975-79), “rossi” anche e soprattutto per il sangue versato. Si tratta degli ultimi due esponenti più alti in grado di quel regime ancora viventi: parliamo, infatti, rispettivamente di un ex primo ministro (Chea) e di un ex capo di Stato (Samphan). Per i cambogiani sono un po’ l’equivalente dei nostri criminali nazisti. 
Crimini contro l’umanità e genocidio: messi alla sbarra da un tribunale speciale misto dell’Onu, insediatosi a Phnom Penh, Chea e Samphan pagano per le loro responsabilità specifiche, ma anche per un’intera pagina della storia cambogiana, l’efferato quinquennio della Kampuchea Democratica (era questo il nome ufficiale del regime).  Il primo processo, quello relativo agli atti di ferocia che caratterizzarono lo svuotamento e la “normalizzazione” di Phnom Penh (capitale cambogiana dal 1867) dopo la sua conquista, si è concluso oggi con  la condanna di entrambi gli imputati al carcere a vita. Il secondo, che riguarda gli atti di sterminio contro le minoranze vietnamita e musulmana del Paese, è appena iniziato: la seduta inaugurale si è tenuta l’ultima settimana di luglio. 

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