“Cittadini turchi, resistete!”
Con quest’appello, lanciato via smartphone attraverso un software di video-messaggeria, Facetime, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan invitava poco prima della mezzanotte i suoi connazionali a reagire a un colpo di Stato militare che – all’improvviso – avrebbe potuto trasformare uno Stato fondato su una costituzione democratica, come quella promulgata da Ataturk sulle ceneri dell’impero ottomano, nell’ennesimo stato autoritario arabo.
In realtà il quadro generale degli eventi sin dall'inizio è sempre stato molto confuso e contraddittorio, anche se la prospettiva degli eventi appariva chiara: ed era quella che, dopo le primavere arabe di alcuni anni fa – dappertutto sciagurate – avrebbe potuto esserci, e avrebbe potuto essere altrettanto rovinosa, l’estate araba della Turchia, con un’ondata di violenza repentina come una folata di vento caldissimo tipica della stagione. Sul quadrante dell'orologio, però, lo scenario appariva più simile a quello dell’attentato jihadista di Nizza.
È successo tutto in una notte, e in una notte tutto è finito. Ore 22.00 circa di venerdì 15 luglio: i militari hanno approfittato del fatto che Erdogan si trovava lontano dai centri del potere turco, essendo in vacanza a Bodrum, per rovesciare il governo e prendere il potere nelle due principali città, Ankara e Istanbul, capitale effettiva e capitale storica, ma ancora oggi centro di riferimento dal punto di vista religioso oltre che militare (una parte dell'esercito, in particolare la I Armata, ha ancor oggi il suo quartier generale nell'antica Costantinopoli). Anzi, a dir la verità rovesciare il governo era un'invenzione: ad Ankara ci si è limitati a pattugliamenti aerei con jet che hanno sparato qualche colpo sui civili, ad Istanbul invece sono stati occupati i due ponti sul Bosforo per poi prendere il controllo di altre strade della città.
Pur beneficiando nella loro azione di un decisivo effetto-sorpresa, i militari insorti hanno dovuto quasi subito aver a che fare con scontri, anche cruenti, sviluppatisi in più parti delle due città. Se infatti la maggior parte dell’esercito, senza troppi indugi, aveva fatto causa comune (o sembrava avesse fatto causa comune) con i generali ribelli, pronti a “restaurare la democrazia” e a porre fine alla dittatura edoganiana (dittatura, però, pur sempre costituzionale, quindi di tipo augusteo), c'erano pur sempre altri particolari reparti delle forze armate che restavano tetragoni nella loro fedeltà ad Erdogan (la Marina, per esempio,per non parlare di una parte dell’Aeronautica).
Avuti i primi aggiornamenti della situazione, il presidente, che ha le redini del paese da più di dieci anni, dopo aver lanciato l’appello si era prontamente imbarcato sul suo aereo per fuggire - così riportavano le notizie vaganti tra le 24.00 e l'1.00 - alla volta di un Paese europeo: si parlava di Germania, di Inghilterra, e addirittura di Italia.
Ma, nello stesso momento in cui alcuni media riferivano dell’imminente approdo di Erdogan verso lidi occidentali, altri smentivano dicendo che l’aereo presidenziale era piuttosto in procinto di atterrare sul suolo turco, proprio a Istanbul, là dove tutto era iniziato. Frattanto, così aggiungevano, almeno un apparecchio dei golpisti era stato abbattuto dalla contraerea dell’Aeronautica. Le notizie di una non-fuga di Erdogan si dimostravano, col passare delle ore, le più vertitiere. Alle 3.00 del mattino in pratica l'ordine era stato dappertutto ristabilito nel Paese.
Così, in poco tempo, alla senz'altro terribile prospettiva di una guerra civile tra erdoganiani ed anti-erdoganiani (prima che il presidente atterrasse all'aeroporto Ataturk di Istanbul, era circolata la notizia di una bomba fatta esplodere al Parlamento d Ankara) si è sovrapposta quella di un'altrettanto terribile vendetta del presidente e dei suoi fedelissimi. "Tutti gli autori dell'irresonsabile atto la pagheranno", ha promesso il presidente, e già 1500 militari sono stati arrestati. In attesa di altri, duri provvedimenti nel futuro prossimo, resta il bilancio delle vittime di una folle notte d'estate, sospesa tra aneliti di svolta e paura di un cambiamento repentino, in uno scenario geopolitico, come quello mediorientale, dove un minimo cambiamento di equilibri può essere letale (non è un caso che sin da subito Obama e Merkel si siano schierati dalla parte di Erdogan). Novanta morti, millecentocinquantaquattro feriti: doveva essere l'inizio devastante di una nuova era, alla fine è stato una specie di attentato jihadista fatto con mezzi un po' più professionali rispetto alla media (specie quella più recente).
L'appuntamento con la fine dell'era erdoganiana, per il momento, è rimandato.