Pyongyang non molla.
E, noncurante (per non dire sprezzante) delle esortazioni statunitensi a desistere in tale direzione, persevera nel suo programma missilistico effettuando nuovi test con l’orgoglio e lo stesso spirito megalomane di sempre. L’ultimo di essi, riferisce il ministero della Difesa della Corea del Nord, ha avuto per protagonisti una coppia di missili a medio raggio Musudan, lanciati dalla costa orientale chosonita la mattina del 22 giugno scorso (ore 7.30 locali, quando in Italia erano le 23.00).
A dir la verità, la tabella di marcia originale prevedeva che venisse lanciato un solo missile; ma, non essendo andato a buon fine il test, è stato necessario replicarlo, e al secondo tentativo l’esito è stato invece molto più fortunato.
Rabbia e preoccupazione è stata immediatamente espressa dal Giappone, per bocca del ministro della Difesa Gen Nakatani: “I lanci violano le risoluzioni internazionali e sono delle provocazioni”, ha detto. “Provocazioni” è stata anche la parola usata da John Kirby, portavoce del Dipartimento di Stato degli Usa, la cui condanna è naturalmente dura, aperta e categorica.
Il giudizio della Casa Bianca è che i test missilistici, i più recenti come quelli dei mesi scorsi, sono stati effettuati dal regime di Kim Jong-un “in esplicita violazione delle risoluzioni Onu”. E questo non può che obbligare la comunità internazionale a rafforzare gli sforzi (leggasi inasprimento delle sanzioni, innanzitutto) per risolvere la questione delle “attività proibite” di Pyongyang.