La vittoria nelle primarie repubblicane è praticamente certa.
Probabile potrebbe essere anche quella nello scontro finale per la Casa Bianca, contro una Hillary in evidente (e vistosa) flessione. Ma… dopo? Una volta varcata la fatidica soglia della Stanza Ovale, che farà mr. Trump? Come interagirà col resto del mondo? E, conseguentemente, come il resto del mondo si relazionerà con lui? Sono domande che, tutto sommato, ogni candidato presidenziale discretamente sicuro di vincere si pone: ed è questo, forse, il lato riflessivo meno esaltante dell’essere vincitori attesi al varco.
Lo è anche per Trump, che si dice sicuro di poter già “contare” su due avversari qualora possa essere lui il prossimo inquilino del n. 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington. Sono laggiù, nella perfida Albione: uno è il premier Cameron, l’altro il neosindaco di Londra, l’anglo-pakistano Khan. Della loro “prevenzione” nei suoi confronti ha parlato lo stesso Trump all'inizio della settimana in un’intervista per una trasmissione britannica, “Good morning Britain” del canale indipendente Itv. Motivo dell’antipatia è la xenofobia trumpiana anti-musulmana. In particolare, Cameron ha giudicato “stupida, divisiva e sbagliata” la proposta di Trump di vietare l’ingresso in Usa agli islamici. Il nuvo primo cittadino londinese, invece, ha definito il tycoon “ignorante” a proposio del mondo islamico. All’indirizzo di quest’ultimo, la replica di Trump si è limitata ad un “Me ne ricorderò”.
La xenofobia è alla base di un altro grande timore del candidato repubblicano: quello che i rifugiati che arrivano negli Usa da zone di guerra (Siria e Libia in primis) possano mettere in atto attentati sullo stile di quelli dell’11 settembre. Trump ha espresso chiaramente questo timore nel corso di un’intervista radiofonica ripresa da Buzzfeed News, un sito di notizie fatte appositamente per la condivisione sui social network. La sua sensazione è che “ci saranno attacchi inimmaginabili, compiuti da quelle persone che stanno entrando adesso nel nostro Paese”. Una sensazione che è quasi un’ossessione, e si appunta su un dettaglio specifico: il cellulare. “I rifugiati vengono in mezzo a noi con i loro telefonini che recano la bandiera dell’Isis, e chi pagherà i loro abbonamenti?”, si chiede tra l’inquietato e il sarcastico.
Nell'attesa di conoscere gli scenari post-novembrini, le primarie vanno avanti. 17 maggio: nuova schiacciante vittoria per Trump in Oregon, col 66,9% di voti raccolti e 17 delegati aggiunti al suo saldo, che tocca ora quota 1161 (mancano solo 76 delegati alla nomination). Sul fronte democratico, frattanto, altra giornata-no per Hillary Clinton, che praticamente pareggia in Kentucky col rivale Bernie Sanders e perde in Oregon, dove il senatore del Vermont le rifila un impietoso -9. Queste le cifre: a Frankfort e nel resto del commonwealth la Clinton ha avuto il 46,8% dei voti, il suo sfidante il 46,3%; un risultato che, in termini di delegati, si è tradotto in un'equa spartizione dei 54 a disposizione. Nessun dubbio, invece, riguardoo a chi ha vinto a Salem e nelle altre 36 contee oregoniane: Sanders ha preso il 56,0% delle preferenze, Hillary solo il 34.
Fortuna per lei che la situazione in classifica generale le offre comunque un consistente paracadute: a -90 dalla nomination (2293 il conto-delegati totale in suo favore), si potrebbe dire, parafrasando Francesco I di Valois, che "nulla è perduto, fuorché l'onore". In ogni caso alla ex First Lady non farebbe male centrare almeno un'altra vittoria autentica di qui alla fine della corsa delle primarie.
Prossime tappe: per i repubblicani appuntamento il 24 maggio nello Stato di Washington e poi gran finale il 7 giugno in California, Montana, New Jersey, New Mexico, North Dakota e South Dakota. I duellanti democratici, invece, torneranno a sfidarsi direttamente il 7 giugno in tutti gli stati dove voteranno anche gli elettori repubblicani per poi chiudere il 14 giugno nello Stato di Washington.