All’inferno e ritorno.
Tre ore per assaggiare le pene del girone dei corrotti e poi la rimessa in libertà. Ė quanto è capitato la mattina di ieri, verso le 8.00 (era mezzogiorno in Italia quando sono piovute le prime agenzie), al già presidente brasiliano Fabio Luiz Lula da Silva (capo dello Stato per due mandati dal 2003 al 2011), tarchiato dalla polizia federale a San Paolo del Brasile, dove risiede, in merito all’inchiesta sul caso Petrobras denominata “”Lava Jato”.
Gli inquirenti, con in testa il giudice Sergio Moro, non si sono limitati ad ordinare l’arresto dell’ex capo dello Stato: hanno anche dato mandato per la perquisizione del suo appartamento: ed è proprio lì che Lula è stato prelevato e messo in manette. Per l’opinione pubblica brasiliana si è trattato di un colpo paragonabile ad una scossa tellurica di parecchi gradi Richter: lo è stato ancor di più, e non sarebbe potuta essere cosa diversa data la sua posizione altrettanto delicata nella stessa inchiesta, per il presidente in carica, la lady di ferro Dilma Rousseff. Già fioriscono aneddoti da leggenda ancorché veri, e in quanto tali riportati dai giornali: la notizia, terribile quant'altre mai, ha raggiunto la Rousseff mentr'ella stava facendo il consueto giro in bicicletta.
Decisive per trascinare Lula dentro l’affare al centro dell’indagine sono state le rivelazioni di alcuni accusati, che hanno deciso di collaborare con la giustizia in prospettiva di uno sconto di pena. Lo scandalo “Petrobras”, in pratica, è una grande tangentopoli in salsa verdeoro: tangentopoli estesasi tra il 2003 e il 2010 (cioè per quasi tutto il periodo della presidenza Lula), quando ci fu la distribuzione, da parte del colosso energetico brasiliano, di circa 2 miliardi di dollari in mazzette a politici del Partito dei Lavoratori, quello fondato dallo stesso Lula e di cui fa parte anche la Rousseff. Mazzette, naturalmente, che dovevano contracambiare condizioni di monopolio sul mercato (in primis appalti per infrastrutture).
Come detto, dopo tre ore di interrogatorio, alle 11.30 (più o meno le 15.00 in Italia, anche se la notizia è stata data dalle agenzie quando erano ormai le 19.00), Lula è tornato libero. Subito fuori dal commissariato, egli si è precipitato nella sede del suo partito (di cui è stato presidente dalla nascita, nel 1980, fino al ’94) per rilasciare le prime dichiarazioni pubbliche in merito all'accaduto: ai suoi compagni ha detto di non aver “nulla da temere” da un’inchiesta che ha definito niente più che “uno spettacolo mediatico”.