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Primarie Usa, Super Tuesday nel segno di Clinton-Trump

Tengono Cruz e Sanders

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Un mercoledì da leoni, per citare un celebre film sul surf.

Conseguenza di un martedì da campioni, per Hillary Clinton e Donald Trump. Il Super Tuesday, il tradizionale appuntamento delle primarie presidenziali che dà un’accelerazione decisiva alla corsa verso le candidature in entrambi i campi – quello repubblicano e quello democratico – proponendo il voto dei caucus in più stati contemporaneamente, ha visto infatti trionfatori la lady di ferro americana, erede designata del presidente uscente Barack Obama, e del vulcanico bilionario: come da previsioni, si potrebbe dire, dal momento che si tratta comunque dei due superfavoriti della vigilia.

Andiamo per ordine (e ricordando che non in tutti gli stati dove hanno votato i democratici c’è stato anche il voto repubblicano). Sul fronte repubblicano, SuperTrump (e non vogliamo scomodare il pop degli anni ’70-’80) ottiene la maggioranza dei voti in Alabama (43,4%), Arkansas (32,7%), Virginia (34,7%), Vermont (32,7%), Georgia (38,8%), Tennessee (38,9%) e Massachusetts (qui ha stradominato, 49,0%).  Ted Cruz vince in casa, nel suo Texas (43,7%), e riesce a soffiare al rivale l’Oklahoma (34,4%) oltreché, con soli 627 voti in più l’Alaska (36,4%). Marco Rubio, il terzo incomodo, può invece sorridere solo in Minnesota (vince con un comunque lusinghiero 36,8%).

Al momento, Trump resta saldamente in testa con 285 delegati acquisiti: 124 in più di quelli su cui può contare Cruz,  che in realtà appare ormai l’unico che possa sbarrargli la strada (staccatissimo è Rubio, con soli 87 delegati): una strada che però, oggettivamente, è ancora lunga, dal momento che allo stesso Trump mancano ancora più di 900 delegati per ottenere la sospirata nomination.

Spostiamoci in casa democratica. Qui  l’ex First Lady si dimostra una vera schiacciasassi nella maggioranza degli Stati coinvolti nel Super Tuesday: in Alabama ottiene il 77,8%, in Arkansas il 66,3%, in Georgia il 71,2%, in Massachusetts il 50,3%, in Tennessee il 66,1%, in Texas il 65,2% e, infine, in Virginia il 64,3%. Bernie Sanders continua a battersi generosamente e senza paura contro una corazzata ritrovata, e tornata al massimo della sua potenza: a lui, infatti, va la vittoria, oltre che nel “suo” Vermont (con uno stratosferico 86,2%),  anche in Oklahoma (51,9%),  Minnesota (61,7%) e Colorado (58,9%).

Esaminando il conto dei delegati, osserviamo che la Clinton, allo stato attuale, si trova un po’ meno che a metà dell’opera: fino ad ora infatti, ne ha guadagnati 1005, e gliene rimangono altri 1300 da acquisire così da poter intascare la candidatura ( come si vede, in campo democratico il numero di delegati da conquistare per ottenere la candidabilità è più alto che in quello repubblicano; qui, infatti, ne “bastano” 1237, mentre i democratici ne richiedono 2382). Per Sanders, con i suoi 373 delegati, fare il sorpasso su Iron Hillary  ora come ora sarebbe un’impresa tanto più storica quanto più oggettivamente disperata.

Personalmente ci piacerebbe che la Clinton, in caso in cui, vinte le primarie, vincesse anche lo scontro finale per la Casa Bianca, operasse un ticket come quello attuato da Obama subito dopo la prima, storica vittoria del 2008: e cooptasse nella sua amministrazione Sanders, per affidargli un ruolo cruciale, proprio come a suo tempo Obama aveva fatto con lei. Questo, naturalmente, senza dimenticare che da qui al 14 giugno le tappe da percorrere, per l’uno e per l’altro, sono ancora parecchie, e che il senatore del Vermont non ha certo perso la voglia di riservare sorprese e tendere trabocchetti.       

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