Applicazione retroattiva.
E’ ciò che alla fine dello scorso mese ha deciso la Corte Suprema degli Usa aggiornando una sentenza del 2012, emanata dalla stessa Corte, che vieta il carcere a vita per i minori (ricordiamo che nella Federazione si diventa maggiorenni a 18 anni, come in Europa, tranne che in Missouri, Alabama, Nebraska e Mississippi, anche se la patente si può prendere a 16 anni). Questo significa che la marea di dannati nel girone del “fine pena mai” per aver commesso, anteriormente al 2012, crimini da minorenni, possono sperare di tornare a vedere il sole intero e non più a scacchi.
La Corte, in pratica, non ha fatto altro che accogliere il ricorso di un detenuto che aveva 17 anni quando uccise un vice sceriffo in Louisiana. E parliamo di uno Stato in cui le cronache sono giornalmente piene di episodi al contrario: di poliziotti, cioè, che sparano a sangue freddo a ragazzi e adolescenti.
Sulla questione del carcere per i minori interviene anche il presidente Obama, con la sua solita sensibilità per le battaglie civili, e, concretamente, con una serie di norme di cui ha scritto il Washington Post. Norme che vanno nel senso della prevenzione. Esse vietano, per esempio, di punire con il regime di isolamento i giovani detenuti quando ancora non abbiano commesso reati di gravità paragonabile all’omicidio; la stessa cosa vale per i malati di mente reclusi.
L’opinione della Casa Bianca è che ridurre all’isolamento un piccolo delinquente macchiatosi di furto significa agevolare il suo processo di trasformazione in un criminale vero e proprio.