San Matteo è l'autore di quello che viene considerato il primo Vangelo. La peculiarità di quest'opera è che, a differenza delle altre Sacre Testimonianze, è scritto in ebraico e non in greco: Matteo era un ebreo, e prima di quell'incontro che gli cambiò la vita veniva chiamato Levi.
La storia di Matteo ci è sconosciuta. Conosciamo la sua personalità attraverso il modo in cui riporta i fatti di Gesù: scrivendo per la sua gente, Matteo sapeva che era importante che dal Vangelo si capisse che Egli era davvero colui che gli ebrei aspettavano. Prima di molte citazioni o miracoli, infatti, si trovano rimandi ai profeti e all'Antico Testamento. L'approccio quasi scientifico di Matteo denota una persona di grande cultura, convinta che il Messia finalmente era arrivato e intenzionato a convincere tutti gli ebrei.
Quando ancora era ancora chiamato Levi, l'apostolo era un esattore delle tasse. Veniva chiamato in maniera dispregiativa "pubblicano": era il periodo in cui gli ebrei erano sotto il giogo dei romani, e la posizione di Levi era quanto mai scomoda. Ebreo al servizio dei romani, era visto con sospetto, considerato un peccatore.
"Poi Gesù, partito di là, passando, vide un uomo chiamato Matteo, che sedeva al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli, alzatosi, lo seguì." [Matteo, 9;9]
Così Matteo descrive il suo incontro con Gesù. Si presenta a noi come Matteo; probabilmente questo è un segno di come la percezione di sé fosse cambiata, una volta incontrato il Signore. Molti apostoli infatti cambiarono nome dopo l'incontro, a simboleggiare una nuova nascita, un nuovo battesimo.
Matteo non ci pensò due volte: si alzò e seguì i passi del Signore, sia fisicamente che spiritualmente. Invita Gesù a casa sua, e lo fa mangiare tra quelli che venivano considerati peccatori nella società di allora: i pubblicani. Questo evento lo racconta Marco:
Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: "Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?" Avendo udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”. [Mc 2,15-17]
Le parole di Gesù rianimavano gli sconfitti e curavano i malati di spirito, e ciò sentì Matteo in quel "seguimi": ostracizzato e considerato un traditore, si impegnò per redimersi agli occhi del suo popolo. Rinunciò ai suoi averi e alla sua vita agiata, e viaggiò con il Signore per poter diffonderne il messaggio.
Quando Gesù morì, ne fu addolorato come tutti gli altri apostoli, ma non dimenticò i suoi insegnamenti. Partì per diffondere il Verbo, e andò prima in Giudea e dopo in Etiopia.
La testimonianza di Clemente Alessandrino ci aiuta a seguire i suoi passi: in Africa il Santo Matteo si dedicò ad una vita ascetica ed austera, cibandosi solo di piante e radici.
Le fonti più accreditate dicono che fu trucidato da un branco di pagani, ma la Legenda Aurea di Jacopo da Verazze racconta una storia molto più accattivante.
Matteo sarebbe riuscito a convertire il re Egippo di Etiopia al cristianesimo riportando in vita la sua amata figlia, Ifigenia. Grazie a ciò il Santo ottenne il favore dell'intero paese, ma comunque preferiva vivere in austerità, e spesso si dirigeva in città per le sue prediche. Quando Egippo morì, il suo trono fu preso da suo fratello Irtaco. Questo nuovo re aveva il desiderio di sposare Ifigenia, che però aveva consacrato la sua virtù a Dio.
Irtaco si rivolse a Matteo: sapendo che questi era la guida spirituale della ragazza, gli chiese di convincerla a sposarlo. Matteo ascoltò paziente la richiesta, e dopo con calma gli disse di attendere ancora qualche giorno, e di recarsi in chiesa per assistere alla sua predica della domenica.
Così il re fece, speranzoso che dal pulpito Matteo si spendesse in suo favore. Ma non fu così.
Il Santo disse apertamente che chi è maritato non si può risposare; dato che Ifigenia era moglie del Signore, la pretesa di Irtaco era non solo una blasfemia, ma un grande oltraggio: il servo che ambisce alla moglie del re viene sempre bruciato vivo.
Il re fu pervaso da una rabbia accecante. Pochi giorni dopo, mentre San Matteo era di nuovo a dir messa, un uomo si avvicinò per l'eucarestia. Era un sicario del re; lo uccise a colpi di spada sull'altare.
Qualsiasi sia stata la storia che segue la morte di Gesù e il destino di Matteo, il coraggio e la determinazione di quest'uomo traspare in ogni pagina del suo Vangelo. La sua saggezza e la sua cultura è il motivo per cui viene rappresentato con una lunga barba bianca e un angelo che guida la sua mano, simbolo di Dio che lo ispira nella sua opera.