https://italiait.it/2024/11/bergoglio-e-padre-fausti-svelano-quale-fu-il-misfatto-della-declaratio/
Autore: Andrea Cionci
11 Novembre 2024
Come abbiamo recentemente scoperto, coordinando l’input iniziale dell’Avv. Costanza Settesoldi e lo studio dei latinisti Gian Matteo Corrias e Rodolfo Funari, Benedetto XVI, pronunciando la parola “commissum” nella Declaratio intese giustificare così il proprio confino in sede impedita, accettato con mitezza cristica:
“Per cui ben consapevole del peso di quest’atto dichiaro in piena libertà di rinunciare a mio danno (mihi) al ministerium di vescovo di Roma, successore di San Pietro, a causa del misfatto (per…commissum) di un manipolo (manus) di Cardinali nel giorno 19 aprile 2005”.
In molti si sono chiesti cosa potesse essere questo “misfatto” avvenuto nel giorno dell’elezione di papa Ratzinger.
Bene, abbiamo alcune testimonianze decisamente significative che ricompongono un panorama coerente su una manovra elettorale “sporca” che si verificò in quel conclave.
Innanzitutto, occorre citare la Biografia autorizzata del card. Godfried Danneels del 2015: essa ci informa sul fatto che prima del conclave 2005 “Bergoglio si guadagnò la fiducia di molti dei partecipanti al Gruppo di San Gallo” e che “il cardinale gesuita Jorge Mario Bergoglio era un’alternativa realistica” (candidato contro Ratzinger).
Mons. Gaenswein nel 2016 definì quell’elezione l’esito di uno “scontro”, di una “drammatica lotta” fra i due partiti chiave; il Sale della Terra e il Gruppo di San Gallo definito come quello della dittatura del relativismo.
Vi è poi la “soffiata” di un ignoto cardinale conclavista riportata da Limes nel 2009 secondo cui, nel conclave 2005, si era creata una situazione di stallo fra i due candidati in pole position, Ratzinger e Bergoglio, situazione che fu sbloccata alla quarta votazione travasando una 15ina di voti dal cardinale argentino al teologo tedesco in modo da farlo eleggere col nome di Benedetto XVI il 19 aprile 2005, pur con una maggioranza non ampia.
Anche lo stesso Bergoglio conferma il dato nel suo libro El Sucesor: “In quel conclave – la notizia è nota – mi usarono. […] È successo che ho ottenuto quaranta voti su centoquindici nella Cappella Sistina (3° scrutinio riferito anche da Limes). Sono bastati per fermare la candidatura del cardinale Joseph Ratzinger, perché, se avessero continuato a votarmi, non sarebbe riuscito a raggiungere i due terzi necessari per essere eletto Papa […] La manovra consisteva nel mettere il mio nome, bloccare l’elezione di Ratzinger e poi negoziare un terzo candidato diverso. Mi dissero poi che non volevano un papa straniero […] è stata una manovra in piena regola. L’idea era quella di bloccare l’elezione del cardinale Joseph Ratzinger. Mi stavano usando, ma dietro di loro già pensavano di proporre un altro cardinale. Non riuscivano ancora a mettersi d’accordo su chi, ma erano già sul punto di pronunciare un nome”.
Sono quindi tre le fonti che parlano di un confronto, nel 2005, fra Ratzinger e Bergoglio
Tuttavia, c’è un’altra testimonianza del 2015 di Padre Silvano Fausti, gesuita, rahneriano di ferro, amico e confessore del card. Carlo Maria Martini, membro di spicco della Mafia di San Gallo, il partito della “dittatura del relativismo” opposto a quello del Sale della terra di Ratzinger.
Ecco cosa spiega Fausti, rivelando confidenze ricevute da Martini: “Le dimissioni di Ratzinger erano già programmate… Alla sua elezione con Martini: perché erano i due che avevano più voti. Ne aveva un po’ di più Martini… La manovra era: Martini per i progressisti, Ratzinger per i conservatori, ma volevano far cadere ambedue per metter su uno di curia molto strisciante, che non c’è riuscito. Scoperto il trucco, Martini è andato da Ratzinger la sera, (m’ha detto), e gli ha detto:
“Accetta domani di diventare papa coi voti miei? E poi vi farò un discorso”. E poi mi ha detto che ha fatto un discorso, non ha parlato d’altro credo; hanno arrossito in molti cardinali … Martini, ha detto che molti arrossivano perché ha denunciato la cosa… erano manovre sporche… E poi gli aveva detto (a Ratzinger n.d.r.) “Accetta tu che sei in Curia (è stato n Curia 30 anni credo), poi sei intelligente e onesto, se riesci a riformarla bene, sennò te ne vai”. E il primo gesto che ha fatto (Benedetto XVI n.d.r.): è andato a L’Aquila, a porre la sua stola, il suo pallio sulla tomba di Celestino V, già dall’inizio del papato. E poi dopo dieci anni Martini gli ha detto che “è proprio ora, sai, perché qui non si riesce a far nulla”…
Quindi 3 contro 1: Dannels, Limes e Bergoglio affermano che il competitore di Ratzinger era Bergoglio; solo Fausti afferma che lo era Martini.
Un dato unico rimane: sia Bergoglio che Fausti ammettono che ci fu una manovra di alcuni cardinali che produsse appositamente uno stallo per far decadere sia Ratzinger che un potente candidato progressista (Bergoglio o Martini), e far convergere i voti su “un cardinale italiano” (come dice Bergoglio) e “di Curia” (come dice Fausti).
Cardinali italiani e di curia che erano già in lizza, per quanto con basse percentuali, erano solo Ruini e Sodano il quale, come ex Segretario di Stato di Giovanni Paolo II, poteva anche legittimamente ambire al papato.
Di Sodano vedremo che nel 2013 si dimostrerà decisamente ambiguo, commentando l’appena pronunciata Declaratio con la frase “Lei ha deciso di mettere la parola fine al suo servizio pontificale”. Nessun cenno a rinunce, dimissioni, o abdicazione. Sodano sapeva dunque che Benedetto non aveva abdicato e usò una formula politicamente corretta che avrebbe comunque mascherato la sede impedita. Infatti, Benedetto offrendosi a un conclave illegittimo, avrebbe messo davvero la parola fine al suo ministerium, cioè il potere pratico. Ma Sodano si guardò bene dall’intervenire in soccorso del Papa.
Quello che è testimoniato da Bergoglio, Fausti, Limes è che i voti della Mafia di San Gallo al quarto scrutino confluirono sul nome di Ratzinger, molto probabilmente per volontà di Martini.
Bergoglio e Fausti parlano di una manovra rispettivamente strumentale e “sporca” tesa a silurare in ogni caso Ratzinger, insieme all’altro candidato progressista, per eleggere un altro cardinale italiano e di curia.
Martini, stando a Fausti, offrì i suoi voti a Ratzinger il quale evidentemente lasciò fare.
Questa manovra, oggi, a posteriori, creerebbe qualche problema per la validità dell’elezione di Benedetto XVI? Nient’affatto.
Il capitolo VI della Universi Dominici Gregis (in particolare gli artt. da 78 a 81) affronta queste tematiche: simonia, contrattazioni mentre il Pontefice è in vita, divieto di ingerenze esterne, divieto di accordi, patteggiamenti, capitolazioni, conventicole.
Nessuna di queste fattispecie, pur, illecite, è sanzionata con la nullità dell’elezione
E’ solo prevista la nullità dei patti o di accordi illeciti (che non producono effetti obbligatori e che, quindi, nessuno è tenuto a rispettare) nonché la scomunica latae sententiae per i loro autori.
Non c’è alcun dubbio, quindi, circa la valida elezione del Santo Padre Benedetto XVI. La disciplina è inequivocabile, il card. Ratzinger ha agito sempre secondo le regole. Non risulta che sia stato promotore o parte attiva di questi accordi. Egli piuttosto è stato vittima, spettatore, soggetto passivo. Ratzinger ha lasciato fare agli altri le loro pastette. E quando Martini gli disse a un certo punto, stando a quanto riferisce Fausti, che lui doveva abdicare, Benedetto XVI se ne è bellamente infischiato e, una volta, messo alle strette, ha tirato la leva rossa della sede impedita e ha instaurato il “Pontificato d’eccezione” sospendendo qualsiasi attività di governo.
Resta che questo misfatto di cui parla nella Declaratio, questa contorta manovra dei sangallisti che avvenne il 19 aprile 2005 è stata con ogni evidenza l’incipit di un tentativo di sfruttare papa Benedetto come “papa a perdere”, come “figura di transizione” in vista di ben altri progetti. Ecco perché nel 2013 egli denuncia questo misfatto di un manipolo di cardinali e lo indica come causa iniziale della sua sede impedita.
Sempre Bergoglio ammette in El Sucesor che la propria figura sarebbe stata troppo di rottura rispetto a Giovanni Paolo II: “(Ratzinger) era l’unico che a quel tempo poteva essere Papa. Dopo la rivoluzione di Giovanni Paolo II, che era stato un Pontefice dinamico, molto attivo, intraprendente, viaggiante… c’era bisogno di un Papa che mantenesse un sano equilibrio, un Papa di transizione. […] Se avessero scelto uno come me, che combina tanti guai, non avrei potuto fare nulla. A quel tempo non sarebbe stato possibile”.
Certamente sarebbe stato traumatico passare da papa Wojtyla a Bergoglio. Serviva prima un mite papa tedesco, severo nella difesa della dottrina, da macinare per bene, per anni, a livello mediatico, per poi far salutare con sollievo ed entusiasmo “il papa venuto dalla fine del mondo”, dopo l’abdicazione dell’ex- Panzerkardinal.
E’ andata male però, perché il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. E soprattutto, detesta il latino più di ogni altra cosa.