Sono trascorsi esattamente dieci anni dall'assurdo omicidio di Nicola Calipari, l'agente dei Servizi Segreti Militari Italiani ucciso a Baghdad per mano di militari americani dopo aver liberato la giornalista del manifesto Giuliana Sgrena.
Sera del 4 marzo 2005, tra le 19 e le 21. Sulla route irish, una delle strade che collega l' aeroporto di Baghdad con la città, sta transitando un'auto con a bordo Giuliana Sgrena, la giornalista del giornale Il manifesto sequestrata un mese prima e appena liberata, Nicola Calipari, il funzionario del SISMI (Servizio Informazioni Sicurezza Militare) artefice della sua liberazione, e l'autista, il maggiore dei Carabinieri Andrea Carpani.
Sulla strada ci sono numerosi posti di blocco dell'Esercito americano ed è da uno di questi che il soldato riservista Usa Mario Lozano fa partire alcune scariche di mitragliatrice pesante contro l'auto, sospettata di essere lì per fini terroristici.
Nicola Calipari muore, colpito alla testa mentre si getta sulla Sgrena nell'intento di proteggerla mentre la giornalista rimane ferita ad una spalla.
Il militare americano ha fatto fuoco sulla Toyota Corolla degli italiani perché, come dichiarerà poi insieme ai suoi commilitioni l'auto aveva i fari spenti e non si era fermata alle loro sollecitazioni. Circostanza poi smentita in seguito nel 2007, dopo che un video girato dallo stesso Lozano testimoniava come l'auto avesse i fari accesi, luce di cortesia compresa, che serviva a segnalare un veicolo “amico”.
Ma questo è solo uno degli strani particolari della tragica e assurda vicenda, che si è subito divisa per le due versioni: quella italiana e quella americana, in totale contrasto tra loro, dove la prima parla di un deliberato attacco, teso forse, secondo la stessa Giuliana Sgrena alla sua eliminazione: circostanza da lei più volte ribadita e riportata ad essa anche dai suoi sequestratori poco prima della sua liberazione, dove asserivano che gli statunitensi volevano che non tornasse viva in patria, mentre la seconda asserisce che l'auto non avesse rispettato le norme di sicurezza da attuare in viaggio e perciò fosse stata scambiata per una probabile autobomba, liquidando il fatto come un tragico incidente.
L'atteggiamento degli Usa è stato quello di una totale mancanza di collaborazione con la Magistratura italiana, che, per citare solo un fatto, si è vista restituire l'auto due mesi dopo la sparatoria e che naturalmente ha negato il procedere giudiziario contro Lozano, incriminato per l'omicidio di Calipari e il tentato omicidio della Sgrena e di Carpani e sottratto agli obblighi giudiziari con la cosidetta immunità funzionale, come pure la critica mossa alle Autorità e Servizi segreti italiani, rei di una mancata collaborazione con gli Usa e di una condotta politica non conforme allo scenario iracheno.
Certo è che Nicola Calipari non era nuovo per lo scacchiere mediorientale, ma anzi era il funzionario italiano più preparato e anziano e per questo messo a capo della 2ª Divisione "Ricerca e Spionaggio Estero" del SISMI, quindi forse non gradito agli americani ma certamente non impreparato come hanno sempre cercato questi ultimi di asserire o insinuare allo scopo di sollevarsi da pesanti responsabilità.
Nel corso degli anni si sono sviluppate congetture, illazioni e teorie grazie anche al rilascio “fortuito” di documenti riservati ma niente che realmente potesse aiutare gli inquirenti italiani, che sono stati portati a dichiarare che ingiustizia è stata fatta, come asserito dal magistrato Erminio Amelio, pm dell'accusa per il processo, mai celebrato, sull'omicidio dell'agente italiano sul quale ha scritto anche un libro: L'omicidio di Nicola Calipari (2007, Rubbettino).
Verso Nicola Calipari, la sua vita e il suo operato esiste ancora un debito da saldare che il suo paese gli deve e che certo non deve essere sepolto nell'oblio, un debito al quale gli Stati Uniti e i loro eventuali collaboratori italiani non devono essere sottratti per nessuna ragione di stato possibile, mantenuto presente dalla giustizia e dall'informazione italiana.