Asterix è tornato in Armorica. Voleva cambiare la burocrazia che rallenta la libera espressione dell’arte, e inoltre difendere il diritto d’autore dalla pirateria, ma la sua pozione magica non era quella giusta. L’Asterix di cui parliamo, con tanto di baffetti, è naturalmente l’ottantenne Gino Paoli, il raffinato cantautore genovese, amato da almeno due generazioni, che il 17 febbraio 2013 era diventato presidente della SIAE, la Società Italiana degli Autori e degli Editori. Appena due anni dopo, Paoli ha lasciato la carica, con una lettera di dimissioni indirizzata il 24 febbraio al Consiglio di gestione della società che si teneva a Milano.
In realtà non è che Asterix-Paoli abbia gettato la spugna per raggiunta consapevolezza dell’impossibilità di attuare il suo progetto di perestrojka e glasnost della politica artistica. Sopraggiunti guai giudiziari lo hanno costretto al doloroso (e clamoroso) passo: gli si imputa di aver fatto "espatriare" due milioni di euro su un conto segreto svizzero, come risulterebbe dalle intercettazioni di alcuni colloqui telefonici col suo commercialista, Vallebuona. Quei soldi sarebbero il totale di una serie di compensi intascati durante feste dell'Unità. Va detto che il nome di Paoli non rientra nella famigerata lista Falciani, l’elenco degli illustri (e insospettabili) evasori fiscali d’Italia che avrebbero messo al sicuro i loro tesoretti nelle banche elvetiche: vi figurano quelli di alcuni intimi del cantautore genovese (Vanoni, Sandrelli), ma l'indagine su di lui non ha un legame diretto con lo scandalo Swiissleaks. Certo è che, in questo periodo, sono dolori per i clienti vip italiani degli istituti di credito svizzeri: come in un gioco del domino, infatti, poche settimane dopo l'inizio della divulgazione degli scottanti file Falciani, è venuto a crollare il segreto bancario tra Italia e Svizzera, in base ad un accordo di trasparenza tra i governi dei due Paesi.
Per Paoli, comunque, l’abbandono della presidenza della SIAE non è un’ammissione di colpevolezza, tutt’altro: si è trattato anzi di una mossa obbligata per avere le mani libere e preparare la sua difesa nel modo più adeguato. “Sono sicuro dei miei comportamenti edi non aver commesso reati”, si legge nella lettera di dimissioni. “Voglio difendere la mia dignità di persona perbene”. E magari far rimangiare alla redazione del Tempo quel titolo in cui Il cielo in una stanza era diventato Il fisco in una stanza.