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25 maggio 2024
- di Andrea Cionci
“Non dura che un giorno ogni cosa: tanto ciò che ricorda, quanto ciò che è ricordato”. Facendo tesoro di questa massima di Marco Aurelio, quando, il 19 maggio scorso, è uscita l’ultima preziosissima video-testimonianza di Mons. Gänswein, l’abbiamo subito scaricata e salvata. Come volevasi dimostrare, dopo appena un giorno, lo ha Comunità Pastorale Maria Madre della Chiesa lo ha “inspiegabilmente” rimosso dal suo canale Youtube. Troppo tardi, ormai avevamo già acquisito, archiviato e riproposto il filmato, sia per intero, che in selezione, commentato nei suoi punti salienti.
Probabilmente, ai buoni sacerdoti della Comunità sarà arrivata la telefonata dal vescovo bergogliano, o magari anche di qualcuno più in alto.
Si può capire: in questo incontro pubblico avvenuto nella chiesa di Sabbioneta, Mons. Gänswein fa delle affermazioni dirompenti che svelano, in modo nemmeno troppo sottile, la realtà della sede impedita di papa Benedetto XVI e della conseguente illegittimità di Bergoglio come papa.
Le analizzeremo una per una ricordandoci che Mons. Gänswein, come leggeremo, è ancora tenuto al sigillo pontificio, per questo si esprime in “restrizione mentale larga” con apparenti distrazioni e frasi costruite in modo anfibologico che qualsiasi normo-ragionante, un minimo addentro alla questione, è in grado di capire.
Ecco cosa dice Mons. Gänswein: “Dopo la morte di papa Benedetto ho parlato con papa Francesco (il titolo di “papa” spetta a qualsiasi patriarca scismatico n.d.r.)… devo sgombrare il monastero… tutto, ci vuole tempo. Anche perché papa Benedetto, tedesco, ERA CAPO DI UNO STATO, siamo in Italia, quando c’entrano le istituzioni… Ci vuole tempo”.
Curioso: secondo la vulgata abdicazionista-mainstream papa Benedetto non doveva essere più capo di stato da quasi dieci anni. Le sue cose da sovrano dello Stato Vaticano avrebbero dovuto essere sistemate da un bel pezzo. L’affermazione ha senso solo considerandolo ancora legittimo papa, alla sua morte avvenuta in sede totalmente impedita.
Prosegue l’arcivescovo di Urbisaglia: “Un papa non è mai la copia del suo predecessore. Un papa è il successore di San Pietro e ce ne sono stati ADESSO 267, CON L’ATTUALE PAPA FRANCESCO. Uno ha più a cuore questo papa, o più questo… una valutazione la farà poi la storia”.
Peccato che i papi, con “il buon papa Francesco” dovrebbero essere 266 e non 267.
Una svista? Niente affatto, per chi ha buona memoria. Appena un anno fa, il 18 maggio 2023, Mons. Gänswein si era già “sbagliato” con la lista dei papi, affermando: “Abbiamo 265 papi, sono uno diverso dall’altro”.
Ne avevamo dato ampia pubblicità in questo articolo dal titolo inequivocabile: “Codice Gänswein: il “lapsus” sul 265° papa: è Benedetto XVI e non Bergoglio”. Impossibile che Mons. Gänswein non l’avesse visto, anche perché viene costantemente da noi taggato su Twitter.
Stavolta, dunque, i papi da 265 diventano 267: ancora il fedele segretario del Santo Padre Benedetto XVI ci fa capire che Bergoglio non è il vero papa della chiesa cattolica.
Poi Mons. Gänswein descrive gli incontri avvenuti fra papa Ratzinger e Bergoglio: “Era molto collegiale, ma molto cortese, è chiaro: fra due uomini di questa grandezza, ci si incontra in modo cristiano, EPISCOPALE, PAPALE, cortese…”. Perché episcopale? Magari, a una prima lettura, in quanto sarebbero vescovi di Roma, ma a una seconda, del tutto lecita, perché mentre Benedetto era il vero papa, Bergoglio, da parte sua, è solo un vescovo: sia col papato che con l’antipapato si perde il rango cardinalizio. Francesco è, in effetti, un vescovo vestito di bianco, proprio come quello descritto in Fatima.
Tuttavia, le dichiarazioni più sconvolgenti, Mons. Gänswein le fa spiegando quel famoso riferimento di papa Benedetto al “salire sul monte“: “Una volta, in piazza San Pietro, in occasione di una udienza generale e durante un Angelus, (papa Benedetto) ha usato questa immagine del monte: «salgo sul monte» come Mosè è salito sul monte, contro gli Amaleciti … lui ha pregato, poi hanno perso, poi ha preso due, (fa il gesto di sostenere le braccia in alto) e poi hanno vinto contro gli Amaleciti”.
L’episodio citato è quello di Esodo 17 quando il popolo degli Amaleciti, parente degli Ebrei in quanto discendenti da Esaù, attacca proditoriamente gli Israeliti in cammino nel deserto.
Mosè esorta il suo popolo a combattere sotto il comando di Giosuè. Sale sul monte e implora il Signore con le braccia alzate. Tuttavia, ogni volta che, stanco, abbassa le braccia, gli Amaleciti hanno la meglio. Così Mosè si fa aiutare da Aronne e Cur che lo fanno sedere tenendogli le braccia alzate. In questo modo gli Amaleciti sono vinti e distrutti da Giosuè.
Ora la cosa grave è che gli Amaleciti sono considerati nella Bibbia un simbolo del male, un popolo che di generazione in generazione è contro Dio. Amalek diventerà proprio, nei primi secoli cristiani, un nome per il diavolo.
Capite bene che se, come vuole la comune versione bergoglian-abdicazionista, papa Benedetto si dimise solo perché soffriva di insonnia, il riferimento all’attacco subìto dal popolo del Male, comandato da un demonio come Amalek, non avrebbe alcun significato.
Il discorso del monte trova invece perfetta coerenza alla luce di quanto scoperto dalla nostra inchiesta: papa Benedetto ha subìto un attacco da quella chiesa gnostico-massonico nascosta dentro la vera Chiesa di Cristo. Così papa Ratzinger, messo all’angolo, è salito sul monte a pregare il Signore ritirandosi in sede impedita, come previsto dal diritto canonico. Questa anti-Chiesa, che da sempre perseguita la vera Chiesa, è una realtà del tutto coerente con la Grande Discessio di Ticonio grandemente valutata da Ratzinger, con la sua risposta al filosofo Agamben che affermava come le sue dimissioni fossero una prefigurazione della chiesa di Cristo da quella dell’Anticristo. Infine, si ricordi l’art. 675 del Catechismo, dove si parla proprio della persecuzione che accompagna il pellegrinaggio della Chiesa sulla terra.
Mons. Gänswein poi dice cose ancora più gravi citando un articolo del 1958 di Ratzinger: “Nel 1958 Ratzinger a 31 anni fece un bellissimo articolo, «I nuovi pagani». Se si legge oggi questo articolo e non si sapesse chi e quando l’ha scritto… Ratzinger dice che ci saranno in futuro piccole comunità dove non sono più le strutture esterne che tengono, non sono più come le correnti che tirano, ma ogni cattolico deve decidere di voler vivere in modo cattolico. Questo comincia con piccoli gruppi. Poi da papa parlava di queste «minoranze creative», cioè potrebbe essere che, come all’inizio del Cristianesimo, gran parte della popolazione non è più credente e tanto più è importante che questi piccoli gruppi vivano in comunità che si chiamano famiglia, ma anche parrocchia, minoranza. […] QUELLI CHE ADESSO HANNO LA RESPONSABILITÀ devono creare questi gruppi parrocchiali, familiari: Diocesani non lo so”.
Quindi la responsabilità non è più del “buon papa Francesco”, dei vescovi, ma di piccoli gruppi che hanno conservato la fede. Del resto è ovvio, la Chiesa è stata usurpata da quelli per cui “Cristo si è fatto serpente, si è fatto diavolo”, che si pretende?
Ancora, Mons. Gänswein, ripete per l’ennesima volta l’episodio in cui papa Benedetto gli comunicò la decisione delle dimissioni: “(Disse): «Io glielo dico adesso e QUESTO DEVE MANTENERLO NEL SIGILLO PONTIFICIO, perché, è chiaro, QUESTO NON DEVE USCIRE»”. Non deve uscire fino a quando? Non è specificato. Le dimissioni sarebbero state comunicate certamente. E’ ovvio che, nell’anfibologia usata da Mons. Gänswein, Benedetto si riferiva alla sede impedita. Per questo Gänswein ancor oggi non parla esplicitamente, perché è sottoposto al sigillo pontificio di papa Benedetto. Sta cercando di farlo capire in tutti modi ai cattolici, ma ci sono delle resistenze tremende nel mondo conservatore, anche a causa della presunta intellighenzia “una cum”, che, pur detestando Bergoglio, per interessi materiali o psicoemotivi, combatte ferocemente la questione della sede impedita al fine di mantenere i privilegi propri e dei porporati a cui è legata. Porporati che probabilmente non comprendono che solo facendo il loro dovere, il prossimo vero papa confermerà loro i privilegi.
Ancora, in modo apparentemente incurante del fatto che il 17 febbraio scorso avevamo già trattato QUI , questo suo abituale codice Gänswein, l’arcivescovo racconta di come reagì di fronte alla comunicazione di Benedetto XVI. “Ma Santo Padre, non può rinunciare, non è possibile!”. Avevamo già visto come Gänswein, canonista, facesse notare a Ratzinger che il papa non può dimettersi lui stesso dal ministerium: questo sarebbe potuto avvenire solo per un illecito subìto, cioè la convocazione di un conclave abusivo a papa non morto e non abdicatario, come infatti avverrà. Vedasi lo schema:
Benedetto risponde: “Senta, le ho detto non è una ipotesi di poter rinunciare, le ho comunicato una decisione presa”. Presa da chi? Non è specificato, classica anfibologia da restrizione mentale larga: da me, oppure da altri, cioè dai nemici che lo volevano togliere di mezzo a tutti i costi.
E alla fine Mons. Gänswein chiude con una frase lapidaria: “Parlare della eventuale rinuncia è una cosa rinunciare, è un’altra cosa”. Infatti uno dei nodi principali della Declaratio è che questa è solo una dichiarazione, un annuncio, non è un atto canonico e dispositivo. Benedetto annuncia qualcosa che si verifica per colpa di altri. Per questo non ha mai ratificato l’avvenuta rinuncia al ministerium dopo le ore 20.00 del 28 febbraio 2013, rinuncia che avverrà de facto - e non de iure - per un colpo di stato.