Si diceva che le tragedie uniscono, ma forse è un'affermazione valida solo in alcuni paesi perché in Italia anche indignarsi o condannare un gesto infame come l'attacco subito al giornale satirico “Charlie Hebdo” a Parigi ha provocato l'ennesima querelle su chi ha il diritto di manifestare la propria vicinanza e sdegno nei confronti delle vittime e chi invece deve avere soltanto il diritto a tacere, per non perdere l'occasione di stare zitto. L'hastag #JesuisCharlie, scattato all'indomani della strage in maniera virale sul web è stato tra i maggiori punti di scontro, dove destra contro sinistra in primis rivendicavano e arrogavano le idee del giornale satirico, fino a scendere sbandierando propositi dittatoriali e di sterminio, dimenticando che Charlie Hebdo ha sempre espresso satira pungente (e blasfema per molti) nei confronti di tutte le maggiori religioni e contro gli estremismi politici, in nome di una libertà d'espressione assoluta, che è il bene vero da tutelare dato che la satira fin dalla notte dei tempi è stata sempre colpita, e in maniera sanguinosa, da tutti i regimi. “Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente”: così recita il celebre aforisma del filosofo francese Voltaire che dovrebbe essere alla base di una società civile di fronte ad un dramma come quello parigino, dove infatti oltre un milione di persone si sono strette intorno ai superstiti di Charlie Hebdo in una “marcia repubblicana” seguita da molti capi di stato stranieri arrivati nella capitale francese per solidarietà. Un movimento popolare che è andato oltre i pregiudizi religiosi o razziali (in un paese, la Francia, dove il problema è palpabile da molto tempo) perché ha compreso che è in pericolo la società e le sue idee, indipendentemente da chi e sul cosa le esprime. Nel mondo stupisce la condanna della strage da parte del leader delle milizie sciite “Hezbollah”, dove il “Partito di Dio”, al pari del movimento palestinese “Hamas”, conosciuto nei tempi passati per il loro oltranzismo, afferma che la strage offende l'Islam più delle vignette del giornale, peraltro affermando che “certi gruppi takfiri”, ovvero sunniti estremisti da sempre divisi dagli sciiti nel mondo islamico, vanno sradicati. Sicuramente prese di posizione “politiche” ma sempre migliori di chi, in special modo in Italia si lancia in strali “da nuova crociata”, adducendo il mondo islamico come minaccia all'occidente oppure gli intellettualoidi che percuotono, con la loro verga telematica, il web e i social network su chi non si può permettere di usare #JesuisCharlie, perchè “nemici” della corrente di pensiero del giornale e di quei dodici morti. Gli ultimi fatti di Parigi hanno messo in luce, nella maniera più disarmante, quanto l'Italia sia profondamente divisa, culturalmente debole e povera, non solo per la “crisi” ma anche per il contatto sociale, che ormai avviene a distanza telematica perché spesso chiusi da una disoccupazione che è una delle vere piaghe che sta uccidendo il paese e che ha creato enormi divari sociali. Un vero popolo, un vero paese non deve dividersi ma deve unirsi per difendere la libertà di espressione, da qualunque parte arrivi: i francesi, nella loro “arroganza europea” insegnano, intonando l'inno nazionale durante la marcia per commemorare la strage di Charlie Hebdo.