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Alì Agca, sì ad espulsione

Respinta la richiesta di Orlandi

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Pietro Orlandi aveva chiesto la verità. Prima che si allontanasse forse per sempre, con Ali Agca, che il 27 dicembre era venuto in Italia per onorare la memoria di Wojtyla, e portare fiori sulla sua tomba: era il trentesimo anniversario dell’incontro che egli ebbe col pontefice nel carcere di Rebibbia, due anni dopo l’attentato in cui avrebbe potuto ucciderlo. Già che si trovava in Italia, aveva suggerito Orlandi alla procura di Roma, sarebbe stato il caso di farlo sostare qualche altro giorno nel Paese per interrogarlo sulla vicenda di sua sorella, Emanuela: soprattutto alla luce delle sue ultime esternazioni sul caso. Ma piazza Cavour ha fatto orecchie da mercante: con il documento di espulsione già pronto sul tavolo e firmato dal giudice di pace, il 29 dicembre ai pm è bastato far ribadire che Agca è “testimone inattendibile” per cancellare la pratica e liberarsi dell’ingombrante presenza dell’ex terrorista turco, che per sua sfortuna era entrato in Italia  senza regolare visto, dopo aver viaggiato in auto dall’Austria. 
“Emanuela Orlandi è viva. E’ ancora nelle mani di chi effettivamente l’ha sequestrata, che si trova all’interno del Vaticano. Probabilmente è in qualche convento, forse è diventata suora”. Mehmet Ali Agca, "lupo grigio" dal ’79 all’81, aveva praticamente chiuso la sua carriera di terrorista con il grande attentato del 13 maggio 1981 contro la vita di Giovanni Paolo II. Dopo di allora anni interminabili di pentimenti e ritrattazioni frenetiche: prima la tesi dell’azione solitaria; poi la pista bulgaro-sovietica; infine quella islamico-iraniana. Una girandola di affermazioni dichiarate e rimangiate, di cambiamenti di prospettiva radicali, di contraddizioni e incongruenze che nel corso degli anni avevano trasformato il nemico pubblico numero uno  dell’Occidente e della Cristianità in un mitomane da baraccone. Ma quelle sue verità inconfessate e inconfessabili su Emanuela Orlandi potevano essere forse la sua ultima occasione per tornare ad essere un ex terrorista credibile. In ogni caso, meritavano una maggiore attenzione. Libero dal 2010, al termine di un fortunato iter giudiziario che ha portato al progressivo azzeramento della pena dell’ergastolo, in quello stesso anno Agca ha instaurato un dialogo con Pietro Orlandi,  impegnato dal 22 giugno del 1983, dies maledicta, a profondere tutte le sue energie per ritrovare la sorella, e riportarla a casa. Lui ed Emanuela erano i figli di Ercole Orlandi, una personalità di spicco in Vaticano: era l’attendente del pontefice, Giovanni Paolo II. Per anni si è pensato che a sequestrarla potessero essere stati  proprio i lupi grigi, come ritorsione per l’arresto e la carcerazione del loro compagno, e soprattutto come merce di scambio per poter riaverlo. Tuttavia mentre Agca entrava ed usciva da una cella ad un tribunale e i Lupi grigi, praticamente, si scioglievano, di Emanuela Orlandi non si aveva più neanche l’ombra di una notizia: sicché dopo la fine della guerra fredda cominciò a farsi strada l’ipotesi che i Lupi grigi fossero solo una copertura, e che mandanti ed esecutori del rapimento di Emanuela potessero trovarsi all’interno dello Stato Vaticano: perché il padre, in quanto alto funzionario in San Pietro, sapeva troppo di qualcosa (non a caso è stato chiamato in causa anche lo scandalo Ior), o perché, come si è ipotizzato più recentemente, la ragazza era informata su un giro di pedofilia che coinvolgeva i più alti prelati. In una recente conversazione con Pietro Orlandi, Agca ha tirato fuori il nome del cardinale Giovanni Battista Re come persona al corrente dei fatti. Nei due ultimi conclavi, Re è stato regolarmente inserito nella rosa dei papabili; un pesce troppo grosso da un lato perché non si possa approfondire ciò che lo riguarda relativamente a questo caso, dall’altro perché si decida di non proseguire oltre in questa stessa indagine.  

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