“Rieccolo”, era il soprannome che negli anni ruggenti della Prima Repubblica Indro Montanelli diede ad Amiltore Fanfani. Parafrasando lo storico giornalista toscano è una parola che potremmo riprendere per una delle vicende più controverse degli ultimi lustri. Era il 2011, solo dodici anni fa, ma sembra passata un’epoca. Silvio Berlusconi era Presidente del Consiglio, protagonista centrale ed assoluto della vita politica italiana ed internazionale. Nonostante alcune fibrillazioni nell’allora maggioranza di centro-destra appariva ancora saldamente Capo del Governo. Fino alla notte in cui si cominciò a parlare delle “cene eleganti” di Arcore e della presenza di decine di ragazze. Iniziò da lì la discesa del Cavaliere fino alla fine della sua ultima esperienza da premier. In questi anni le “cene di Arcore” hanno riempito ore di trasmissioni tv, pagine e pagine di giornali e sono state fonte di forti conflitti politici.
Questa mattina il Tribunale di Milano ha emesso la sentenza del “Ruby Ter”, uno dei processi riguardanti quanto accadeva durante e dopo le “cene di Arcore”. L’accusa in questo processo era di “corruzione in atti giudiziari” conseguenti alle inchieste sull’accusa di sfruttamento della prostituzione nella villa lombarda di Berlusconi. Alcune “posizioni minori”, riportano le agenzie, hanno portato al proscioglimento per intervenuta prescrizione. Per l’accusa principale, che vedeva sul banco degli imputati Silvio Berlusconi e altre ventotto persone, è arrivata una sentenza di proscioglimento perché “il fatto non sussiste”.
Le “ragazze” che frequentano la villa di Berlusconi – note come “olgettine” – ha specificato in una nota stampa il Tribunale di Milano non potevano essere testimoni nel processo, e quindi le loro deposizioni non sono state prese in considerazione per l’estensione della sentenza, ma dovevano essere considerate imputate per “reato connesso” sulla base di “indizi non equivoci a loro carico”. La “corruzione in atti giudiziari”, secondo l’accusa, era stata commessa durante i primi due procedimenti giudiziari. Nei quali le “olgettine”, sottolinea la nota del Presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, non potevano essere testimoni “perché sostanzialmente indagate di reato connesso”. E quindi la “qualità soggettiva in capo alle imputate dei reati contestati incide sulla stessa possibilità di configurare sia la falsa testimonianza che la corruzione in atti giudiziari”.