“Giuliano Cotellessa è un nome divenuto familiare a chi cerca nel panorama artistico abruzzese qualche segno interessante di novità ed elementi che possano sorprendere (...) Un artista decisamente fuori dai registri della consuetudine e delle tendenze, a volte obbligatorie, imposte dagli schematismi, all’interno dei quali finisce per costringersi il linguaggio contemporaneo”.
Così scriveva nel 2008 Vincenzo Centorame, il compianto Presidente, per tanti anni del “Premio F.P. Michetti” di Francavilla al Mare, sull’Autore che qui consideriamo. Ed ancora: “L’artista ha compiuto un itinerario già lungo di ricerca e di conquista di una propria identità personale, inserendosi in un circuito non solo regionale, ma frequentemente anche di un’area più vasta e fornendo prove coerenti di una vitalità e di una cifra ormai ben conoscibile”. Dal 2008 ad oggi è aumentata a dismisura la sua produzione artistica e, al contempo, la sua partecipazione a mostre collettive e personali d’arte contemporanea anche di livello internazionale.
La pittura di Cotellessa ha eletto nel tempo, ad iniziare dagli studi artistici giovanili e alla Facoltà di Architettura fino agli attuali anni della maturità, un “archetipo” emblematico che è quello del “labirinto”, della matassa intrecciata di filo, dove si evince, ad una attenta analisi, “una qualche armonia perduta”, si percepisce “il tumulto dell’anima, che combatte contro il desiderio di fuga da ogni genere di costrizione”. L’artista pescarese è un “cercatore di senso” alla maniera dello scrittore Valerio Albisetti nell’ambito della ricerca psico-spirituale ch’egli traspone nell’arte, quasi per esorcizzarla, a suo modo, dai suoi spiriti nefasti.
Di animo contestatario e “controcorrente”, egli combatte “l’horror vacui” e il suo senso di vertigine. Non a caso nelle sue opere sono presenti costantemente dei “simboli”, precipitati sulla tela dagli abissi dell’inconscio, e rivelatori di una “costante ansia dell’anima”, di una volontà di ricerca che ricollochi sé stesso nell’ambito del “dover essere”, in senso kantiano, cioè un conformarsi alla legge morale, indipendentemente da qualunque condizione di fatto ci si trovi.
È l’eterno contrasto tra il mondo dell’essere (“Sein”) - ossia di ciò che è così com’è, secondo le leggi della natura - e il mondo del “dover essere” (“Sollen”) - ossia di ciò che è prescritto dalla legge morale. Dunque, in questa diatriba, cos’è il bello? Kant risponde affermando che è bello ciò che piace universalmente senza concetto. Esso è quindi l’oggetto di un piacere estetico, indipendentemente da qualsiasi forma e slegato da ogni concettualità.
Il bello è, dunque, “oggetto di un giudizio estetico puro”.
Nell’oggetto della rappresentazione pittorica di Cotellessa v’è un carattere specifico: l’universalità del giudizio determinata da un simbolismo che mira al “consenso” di tutti, ad uno specifico codice pittorico attraverso cui tendere al “Sublime”, cioè all’elevazione dell’animo in senso estetico kantiano.
L’arte astratta di Cotellessa risente degli influssi delle Neo-avanguardie storiche che, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, promuovono una programmatica rinuncia al consumo dell’industria culturale dell’epoca e a smascherare la falsità dei modelli di comunicazione imposti dallo sviluppo neo-capitalistico. Negli anni Sessanta e Settanta saranno in auge, da una parte, l’Arte cinetica-visuale, il Minimalismo e l’Arte povera, dall’altra l’Espressionismo astratto americano, i nuovi realismi fino all’arte concettuale ed informale del post-modernismo.
Cotellessa coglie questi nuovi aspetti dell’arte contemporanea, vi si accosta con profondo interesse. “I suoi segni, i suoi colori sono preghiere - a detta di Roberto Franco - lettere, orizzonti, universo senza fine che racchiudono i colori della vita che scaturisce da un “io” introverso e sofferente (...) Uscendo dal soggettivismo, egli riesce a far diventare oggettive sensazioni che scaturiscono da una sofferenza interiore”.
Nella dicotomia tra “sogni” e “visioni”, tra “senso” e “consenso” possiamo inquadrare la cifra pittorica ed il percorso artistico dell’Autore. La sua percezione del dato reale trova una sintetizzazione astratta, geometrizzante, labirintica, segnica in cui vi è una ricerca del suo “inconscio” ch’egli traspone sulla tela in maniera “sui generis” e, comunque, sempre appassionata.
Mi piace concludere con alcuni concetti tratti da un testo critico di Leo Strozzieri su Cotellessa: egli parla di “costruttività inconscia”, di “esiti meccanoformi”, di “potenza aggressiva del labirinto”, di “dimensione esistenziale dei grovigli segnici”, di “suggestioni oniriche”, perfino di “illusionismo” (quale conseguenza della lezione dell’Optical).
Certo, l’aspirazione al “consenso” del pubblico, prima ancora che della critica, il suo essere “controcorrente”, artisticamente parlando, lo espone ad “essere più solo con sé stesso” (Achille Pace). “Non è forse questo stato il momento più affascinante per un artista?”
Foto di Leonardo Paglialonga