La Fiat che impacchetta le auto "straniere" dei dipendenti è l'espressione di una sottocultura violenta ed invasiva di un lavoro che deborda dalle ore retribuite ed invade pericolosamente il privato dei dipendenti creando etichette e discriminazioni. Un messaggio all'apparenza goliardico ma non dissimile da avvertimenti simbolici di fattura criminale. Se davvero si vogliono impacchettare le cause degli insuccessi commerciali, inizierei dai quei dirigenti strapagati e stralodati per i loro manifesti fallimenti e conserverei il pacco ed il fiocco più grande per quell'Amministratore Delegato italo-canadese che è più sopravvalutato delle Fiat rottamate con incentivi statali. Un gruppo, che sceglie idee comunicative buone per il lancio di cioccolatini e che non è capace di “pensare” ad uno o più modelli “veramente nuovi” capaci di aggredire il mercato e riconquistare le fasce perdute dello stesso, andrebbe defenestrato a calci nei ricchi deretani ed andrebbe posto di fronte ai propri insuccessi ed alle proprie responsabilità. Lo stesso Pilato arrossirebbe per la sfacciataggine dimostrata da questi illuminati dirigenti che invece di investire in abili progettisti ed ispirati disegnatori hanno preferito lavarsi le mani nella candeggina ed investire in esperti della comunicazione con l'intento di far passare per nuovi, i modelli mal copiati, e di far ricadere i motivi dell'invenduto sulle scelte di operai etichettati come “adulteri” imperterriti e sabotatori di quella ditta che, nelle difficoltà, è sempre di tutti.