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Borse di studio. Merito o reddito: cosa conta di più?

Premiare i più meritevoli senza tralasciare l’assistenza sociale. Ecco da dove deve ripartire l’Italia.

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I consigli comunali italiani hanno la facoltà di fissare i criteri attraverso i quali viene definita

l’assegnazione delle borse di studio da destinare agli studenti meritevoli. Le graduatorie

vengono stilate sulla base di punteggi determinati tenendo conto di due indicatori: merito

(basato sulla media dei voti conseguita durante l’anno scolastico) e reddito (che prende in

considerazione il valore Isee del nucleo familiare). Di sotto è riportato un esempio tratto dal

bando di un comune italiano.

"Per reddito del nucleo familiare si attribuiranno invece (su un reddito in Euro di base

annua):

punti 6 fino a 3.000,00

punti 5 da € 3.000,00 a 6.000,00

punti 4 da € 6.000,00 a 9.000,00

punti 2 da € 9.000,00 a 12.000,00

punti 1 da € 12.000,00 ed oltre.

I punti assegnati in base al merito scolastico sono attribuiti secondo i seguenti criteri:

punti 14 alla media del 7,1 ed oltre

punti 12 alla media dal 6,8 al 7,0

punti 10 alla media dal 6,7 al 6,8

punti 8 alla media dal 6,5 al 6,6

punti 6 alla media dal 6,3 al 6,4

punti 4 alla media dal 6,0 al 6,2

punti."

 

Con una media dei voti del 7.1 si ottiene il punteggio massimo nella sezione merito. Dal 7.1 in su dunque è

dunque il reddito a fare la differenza nelle graduatorie. Ecco alcuni esempi: Lucia ha una media del 7.2 e

Michele del 9.2. Lucia ha un reddito di 11.500,00 e Michele di 12.200,00. Una differenza di reddito minima

ma una di media dei voti altissima. Secondo i criteri selettivi imposti dal bando Lucia otterrebbe 16 punti

(14 per merito e 2 per reddito) mentre Michele 15 (14 per merito e 1 per reddito). In un’ipotetica

graduatoria Lucia starebbe in una posizione superiore a Michele, che nonostante l’invidiabile e altissima

media del 9.2 – e un reddito non certo da milionario – potrebbe non beneficiare della borsa. In un periodo

di crisi economica e di difficoltà finanziarie a livello nazionale e locale, i comuni sono costretti a destinare

sempre meno risorse in politiche di sostegno alle famiglie con “studenti a carico”, essendo costretti a far

quadrare i conti fronteggiando sempre più tagli. Si sente tanto parlare di meritocrazia ma le parole e i buoni

propositi non sono concretizzati con la stessa frequenza. È noto come al giorno d’oggi i docenti della scuola

secondaria di secondo grado – almeno nella maggioranza dei casi – valutino gli studenti usando una scala

che va dall’1 al 10 (o dall’1 al 9). Gli amministratori comunali locali dovrebbero ragionare tenendo conto di

questi dati. Non concentrare i 14 punti assegnabili per merito in un elenco di medie scolastiche il cui picco è

7.1 ma adattare i criteri del bando ai criteri valutativi delle scuole, fissando il punteggio massimo a una

media maggiore o uguale almeno all’8.5 o 8.6. Una scelta che potrebbe pagare nel lungo termine

valorizzare le eccellenze e introdurre una sanissima competizione meritocratica tra i ragazzi più capaci e

studiosi. Il tutto senza intaccare i criteri di reddito che permetterebbero comunque ai più bisognosi di

usufruire della borsa. Meritocrazia e impegno premiati prima di ogni altra cosa. Il cardine su cui deve

poggiare la ripresa dell'Italia è la ricerca dei giusti trade-off tra i diversi criteri di attribuzione dei vari

contributi, esempio tra tutti questo delle borse di studio. Investire sui giovani, ma soprattutto sui giovani

capaci, quelli che dovranno farsi carico della ripresa del paese e non essere costretti a fuggire all’estero alla

ricerca di un futuro. Un futuro nel quale poter farsi strada con le proprie capacità che, al momento, in Italia

è quasi un miraggio.

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