È proprio così: che si tratti di piogge eccezionali, oppure di precipitazioni pressoché normali, sempre più spesso siamo costretti a registrare gli effetti devastanti del diffuso dissesto idrogeologico che interessa gran parte del territorio italiano. Qui almeno non ci sono differenze tra nord e sud, né si salvano le isole. Di volta in volta le emergenze si verificano su scala nazionale: frane rovinose, inondazioni, crolli di importanti infrastrutture, allagamenti di strade, ecc.. A ciò si devono aggiungere gli incendi – tanto per non farsi mancare nulla nemmeno quando non piove – che del dissesto idrogeologico sono concausa determinante e prevalente. Né potrebbe essere diversamente, considerato che le ferite inferte al territorio, la cattiva gestione e l’imprevidenza sono generalizzate, come pure le responsabilità della politica e delle amministrazioni centrali e locali.
Non bastassero le calamità cosiddette naturali, gli italiani devono far fronte agli attacchi sferrati dal regime partitocratico, resi ancora più incisivi a causa di una sostanziale alleanza tra una classe dirigente largamente asservita agli interessi della usurocrazia mondialista ed una burocrazia elefantiaca e inefficiente, che insieme concorrono a formare un apparato famelico che sembra non porre limiti alla sua ingordigia.
E gli italiani affogano: qualche volta, purtroppo, a causa di eventi luttuosi che gridano vendetta; più spesso per l’azione parassitaria di uno stato oppressore che succhia il sangue dal popolo che produce, attraverso l’esercizio di impresa e il lavoro. Chi si salva rischia di morire dalle risate (o dalla rabbia), scoprendo l’improntitudine di un apparato pubblico che non esita a coprirsi di ridicolo, magari elargendo risarcimenti-beffa a quanti hanno patito gravi danni a causa di eventi calamitosi.
Capita così che un agricoltore veneto di 81 anni, Bruno Gerolimetto, la cui azienda aveva subito danni documentati per 10 mila euro (perdita di attrezzature, sementi, prodotti) a seguito dell’alluvione del 2010 a causa dello straripamento del Muson, venga risarcito della somma di 42,20 euro lordi, che al netto delle spese bancarie (figuriamoci!) si riduce a 38,10 euro (notizia pubblicata da affaritaliani.it).
Nel frattempo la nostra cara patria, assediata da un attacco concentrico della finanza mondialista che mira a demolire i principi cardine della civiltà europea, a cominciare dalla famiglia tradizionale, decade e degrada: si fanno strada aberranti capovolgimenti di millenarie concezioni etiche e religiose da una parte, rovina l’ambiente naturale dall’altra.
Si dirà: ma è tutta colpa dell’uomo ( e della politica per altri livelli di responsabilità) se i versanti collassano, se i fiumi esondano allagando campagna e borghi e città, se l’erosione falcidia la fertilità della terra, se le produzioni agricole sono compromesse, se si verificano ingenti danni a carico di insediamenti abitativi e produttivi, se spesso ci tocca pagare anche un durissimo prezzo in termini di perdita di vite umane?
Per rispetto alla verità e al dovere della obiettività, che non devono cedere mai alla faziosità e alla propaganda, si deve riconoscere che nell’episodio calamitoso gioca spesso un ruolo importante l’eccezionalità dell’evento, nel senso che una precipitazione particolarmente intensa – ad esempio – può senz’altro innescare fenomeni luttuosi e danni rilevanti. Ma l’innesco non è l’esplosivo: la carica esplosiva che determina danni irreparabili e devastanti all’uomo e alla natura è, il più delle volte, la scarsa cura riservata al territorio e all’ambiente nel suo complesso.
A differenza del passato, infatti, quando l’uomo si sentiva giustamente (come richiamato in modo esemplare da Benedetto XVI nell’Enciclica sullo sviluppo umano integrale) custode dell’universo, e quindi viveva in totale armonia con la natura, oggi l’uomo crede di poterla dominare, modificare e violentare impunemente, prima creando business attraverso uno sfruttamento senza limiti, poi ricercando ancora business proponendo azioni di risanamento. È la logica perversa della società dei consumi, modello di sviluppo funzionale agli interessi del capitalismo finanziario senza volto e senza anima, votata esclusivamente a perseguire profitti, attraverso azioni distruttive e nell’illusione di poter tutto ricostruire per ricominciare ossessivamente con nuovi cicli tutti eguali, in cui l’uomo è sempre strumento e mai fine.
L’argomento meriterebbe un approfondimento impossibile in questa sede, ma alcune precisazioni occorre che siano fatte. L’elevato grado di instabilità idrogeologica che caratterizza il territorio italiano deriva solo in parte dalla natura geologica e dalla morfologia: il peso maggiore della instabilità dei versanti, con conseguenti frane e smottamenti diffusi in montagna e collina, cui conseguono piene rovinose in pianura con inondazioni distruttive, è dovuto principalmente al fenomeno dell’esodo rurale, con conseguente abbandono della terra che, privata della preziosa opera regolatrice dell’uomo e delle amorevoli cure dell’agricoltore, subisce azioni di degrado progressivo e, molte volte, inarrestabile.
Presenza dell’uomo vuol dire manutenzione continua del territorio, regimazione delle acque di scorrimento superficiale mediante piccole opere di presidio idraulico che contengono i processi erosivi, mantenimento di sistemi colturali sostenibili e salvaguardia del bosco. Ecco la chiave per contrastare il degrado della montagna e la distruzione della pianura.
Ricordo una bellissima espressione di Mons. Bregantini, allora Vescovo di Locri-Gerace (sì, un vescovo, non un naturalista, un ambientalista, un ecologista, uno scienziato) che sosteneva: “Il mare è azzurro se la montagna è verde”. Ripartiamo dunque dal bosco e dall’uomo: dall’uomo che governa il bosco; dal bosco che riveste i fianchi della montagna, che regima i deflussi e difende le colline e il piano; dal bosco rifugio degli animali e custode della segreta dimensione spirituale dell’uomo.