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Il manuale Cencelli del potere giudiziario

Le vicende degli ultimi mesi all’interno della Magistratura sono un pericoloso campanello d’allarme da non sottovalutare

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Lo scandalo della magistratura, che negli ultimi mesi ha riempito le prime pagine di giornale e telegiornali, sembra attenuarsi. In realtà ha soltanto smesso di fare notizia, ma la gravità e l’enormità di quello che è venuto fuori rimane in tutta la sua essenza. Intercettazioni e dichiarazioni di politici e magistrati, di una pericolosità assoluta, che dovrebbero far accapponare la pelle, eppure nessun mezzo d’informazione, nessun esponente della classe politica e di conseguenza dell’opinione pubblica (palesemente eterodiretta) se ne occupa adeguatamente. Siamo talmente abituati all’orrido che nulla più ci scandalizza. Per avere un’opinione a riguardo non è necessario arrivare al terzo grado di giudizio e, con la solita scusa del garantismo, fingere di non capire che è stato scoperchiato il vaso di Pandora. Da ciò che è venuto fuori sino ad ora, si è acclarato che la magistratura, organo di rilievo costituzionale sul quale per anni abbiamo riposto le nostre speranze tradite dalla politica, in realtà non è migliore di quest’ultima, anzi, è con essa collusa e anch’essa è precipitata nella trappola del potere. Incontri segreti nei quali i rappresentanti del potere legislativo, esecutivo e giudiziario che, per volere dei saggi padri costituenti, che avevano studiato Montesquieu, sarebbero dovuti rimanere distinti e distanti, decidono le nomine e gli incarichi ai vertici delle procure e nel Consiglio Superiore della Magistratura. Ma la cosa più deplorevole è ascoltare le parole di politici e giornalisti che, con assoluta noncuranza, dichiarano che in fondo sono cose che già si conoscevano e che “non c’è nulla di nuovo sotto il sole”. Non so se è vero che molti conoscevano questa realtà, ma so per certo che chi afferma scientemente cose simili non si rende conto della gravità delle proprie dichiarazioni. La magistratura, per sua natura, deve essere un potere autonomo, così come stabilito nel primo comma dell’art.104 della Costituzione: “La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”; e i suoi rappresentanti non devono bramare potere né desiderare la luce dei riflettori, ma mettersi al servizio della legge. Fare il giudice non è come svolgere una professione qualsiasi, è una missione per la quale bisognerebbe essere vocati. La caratteristica principale, fondamentale e irrinunciabile, della quale deve essere dotato un magistrato è quella dell’imparzialità, e per esserlo non bisogna dipendere da nessuno né essere riconoscenti a qualcuno o qualcosa. La magistratura deve essere impermeabile a qualsiasi influenza esterna, proprio per questo la Costituzione l’ha dotata di un organo di autogoverno: il CSM. Nel momento in cui le nomine e gli incarichi non vengono più decisi secondo criteri interni e meritocratici, ma formulati con poteri esterni secondo il più classico manuale Cencelli (un’equa spartizione tra le varie correnti), tutto decade e il magistrato perde la sua caratteristica fondamentale, perché non risponderà più alla legge e alla propria coscienza, ma a chi gli ha conferito l’incarico. Per ciò che mi riguarda, è plausibile che all’interno della magistratura ci siano correnti di pensiero che accomunino i giudici a seconda della visione e dell’interpretazione del diritto su determinate tematiche, ma non è tollerabile che queste correnti in realtà siano politiche. Non è accettabile che dei magistrati, sin dall’inizio della loro carriera, siano costretti ad affiliarsi a una corrente, se vogliono sperare di ottenere incarichi di un certo prestigio. Probabilmente mi ero illuso credendo che la magistratura, vista la storia del nostro Paese e la delicatezza del ruolo svolto, fosse più elevata e sensibile rispetto ad altri poteri dello Stato, e che, pertanto, non fosse caduta nel classico vizio italiano, quello che, per capirci, è più evidente nelle baronie universitarie e nelle segreterie di partito, dove gli incarichi importanti sono assegnati solo a chi è sotto la protezione del “potente” di turno. Invece, non bisogna illudersi, seppur qualcuno continua a sostenere che ci siano “ceppi diversi”, la realtà dimostra che, senza distinzione di censo, di sesso e di religione, siamo tutti italiani: da Trieste a Canicattì.

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