«La vita di mio marito, ucciso nella nostra casa durante una rapina, non vale 7.200 euro così come stabilisce la legge. Arriverò fino alla Corte europea per avere giustizia, non mi fermerò mai. È una questione di principio».
Federica Pagani, vedova di Pietro Raccagni, il macellaio di Pontoglio nel Bresciano morto il diciotto luglio 2014 durante il colpo nella sua abitazione avvenuto undici giorni prima, ha il piglio determinato di chi non si vuole arrendere di fronte alla burocrazia e alle leggi italiane. Combatte da anni contro quel mini riconoscimento dello Stato per l’omicidio del marito, ucciso da una gang di albanesi, introdottisi nella sua casa in piena notte cinque anni fa. Pietro Raccagni, 53 anni, sorprese i malviventi in taverna. Una volta accortisi dell’arrivo del padrone di casa, un componente albanese della gang pensò bene di lanciargli una bottiglia per garantirsi la fuga. Raccagni fu colpito in pieno volto, cadde all’indietro sui gradini della scala, picchiò la testa, perse conoscenza e non la riprese mai più. Morì nell’ospedale civile di Brescia. Una morte che per lo Stato vale solo 7.200 euro.
È l’indenizzo previsto dalla legge per i parenti delle vittime di reati violenti. Anche se moglie e figli di Pietro Raccagni aspettano giustizia. L’attendono dal tribunale di Roma al quale si sono rivolti dopo al sentenza della Cassazione che conferma le condanne per i quattro albanesi, tutti ora detenuti in carcere tra Brescia e Cremona. Ai quattro nati tra il 1987 e il 1993 sono stati inflitti in via definitiva sessantadue anni complessivi. Sono accusati oltre che di omicidio preterintenzionale anche di rapina, furti, sequestro di persona detenzione e porto abusivo d’arma. «Sì», conferma Federica Pagani, «abbiamo citato in giudizio sia il ministero dell’Interno che quello di giustizia con l’assistenza del mio avvocato. Voglio che la morte di mio marito venga risarcito secondo quanto stabilito dalla Cassazione». Si parla in questo caso di una cifra ben più consistente rispetto a riconosciutele dallo Stato: «È stato disposto un risarcimento», fa sapere ancora la commerciante «pari ad un milione e ottocentomila euro che i componenti della gang, però, non sono in grado di risarcire». Si tratta di soldi, però, che non vedrà mai. E difficilmente lo stesso tribunale di Roma riconoscerà mai un risarcimento di una questa enorme entità . La titolare della macelleria di via Porta San Zeno 4, non si è certo persa d’animo. e ora continua la sua battaglia a suon di carte bollate e ricorsi. Ha deciso assieme ai figli, più di un anno fa, di ricostruirsi la vita per tentare di vincere un dolore così tremendo come quello di perdere il marito in circostanze così violente. La donna con i figli ha chiuso l’avviatissima macelleria di Erbusco nel Bresciano e si è trasferita armi e bagagli sulla sponda veronese dove ora vive e lavora pur mantenendo la residenza a Pontoglio.
«È ovviamente una questione di principio», ribadisce Federica Pagani, «non tanto per il valore davvero effimero della vita del mio povero marito ma soprattutto per una questione di diritto sacrosanto al risarcimento da parte di chi è stato condannato in via definitiva al carcere ed a pagare complessivamente a 1 milione e ottocentomila euro di risarcimento e e 600 mila di provvisionale». Federica Pagani si sente «indignata e lasciata sola e se non troverò adeguata davanti al tribunale di Roma, farò ricorso fino ad arrivare alla Corte europea per i diritti dell’uomo. E mi rivolgo anche al Ministro dell'Interno e della Giustizia perchè la dignità dell'uomo va rispettata sempre». In realtà , i contatti con esponenti del governo ci sono già stati, compreso con il ministro dell’Interno Matteo Salvini. «Sono stata diverse volte a Roma», spiega ancora la donna, «e ho parlato anche con il sottosegretario Jacopo Morrone e il deputato Nicola Molteni (ambedue della Lega ndr) e mi hanno garantito che i soldi per il risarcimento ci sono». Ma sono bloccati: «Il ministero dell’economia per il momento non li elargisce». E la palla torna alla famiglia bresciana ora residente a Lazise: «È uno scandalo», commenta Federica Paccagni. E i precedenti giudiziaria non fanno presagire nulla di buono: «Proprio pochi giorni fa», chiude la donna, «il tribunale di Roma ha applicato la legge sugli indennizzi ad un caso simile a quello di mio marito, risarcendo la famiglia con i 7.200 euro. Ma è giusto?».