L’assessore alle Politiche agricole della Regione Abruzzo, Mauro Febbo, ha inviato una lettera ai Ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura per sollecitare una concreta risoluzione della complessa problematica conseguente alla presenza imponente e ormai incontrollabile di cinghiali.
Presenza che comporta danni alle colture e rischi per la pubblica incolumità.
Accanto alla firma di Febbo, quella degli assessori provinciali al ramo Mario Lattanzio (Pescara), Antonella Di Nino (L’Aquila), Giovanni Staniscia (Chieti) e Giuseppe De Micheli (Teramo).
«L’evoluzione del danno provocato dal cinghiale alle colture agricole a livello regionale ha assunto, nell’ultimo decennio, una tendenza esponenziale - scrivono nella missiva - con conseguente aumento della spesa necessaria al compenso dei risarcimenti, circa tre milioni di euro in Abruzzo solo nell’anno 2012. Occorre una strategia comune che preveda interventi coordinati sull’intero territorio regionale, ovvero entro e fuori le Aree Protette, come espressamente suggerito dal Ministero dell’Ambiente e dall’Ispra nell’apposita guida “Linee guida per la gestione del cinghiale nelle aree protette”. ‘Alcune Province, acquisito il parere Ispra, hanno predisposto e approvato specifici Piani di controllo che prevedono interventi diretti ad opera dei selecontrollori. - spiegano Febbo e gli assessori provinciali - Tali interventi, laddove adottati, hanno ridotto in maniera significativa i danni provocati alle colture agricole dal cinghiale. In Provincia di Teramo, ad esempio, il danno si è ridotto del 24% mentre, nella provincia di Pescara, laddove nel 2011 non si è intervenuto con i selecontrollori, l’ammontare dei danni all’agricoltura è aumentato di centomila euro. I Parchi, invece, autonomamente e senza un preventivo coordinamento con gli altri Enti coinvolti - si legge nella lettera - hanno provveduto ad effettuare interventi di controllo delle popolazioni di cinghiali, mediante l’utilizzo di recinti di cattura. In più occasioni le stesse Province hanno espresso forti perplessità sull’utilizzo ed efficacia dei recinti, ritenendo tale sistema particolarmente cruento nei confronti di animali selvatici, costretti a numerose ore di forti stress, conseguenti alla cattura e alla costrizione nelle gabbie, prima di essere avviati alla macellazione. Appare evidente - prosegue la nota - che l’utilizzo di cacciatori ‘volontari’ con costi materiali totalmente a carico degli stessi, risulta praticamente a costo zero per l’Ente Parco, a differenza del metodo dei recinti di cattura che risulta invece significativamente oneroso».
La Regione Abruzzo e le Province abruzzesi non possono che rilevare «nell’azione dei Parchi una chiusura che appare soprattutto di natura ideologica nei confronti delle metodologie proposte dalle Province e suggerite dal Ministero dell’Ambiente e dall’Ispra».
Quella che si auspica, in sintesi, è «una strategia di sistema volta alla gestione della problematica del sovrannumero di cinghiali».
La Regione Abruzzo, ricorda Febbo, ha già previsto nel P.S.R. 2007/2014, la misura 2.1.6 denominata ‘’Interventi non produttivi - Sostegno agli investimenti non produttivi - terreni agricoli’’ finalizzata al finanziamento di azioni per il controllo della presenza di animali selvatici e la difesa delle attività agro-zootecniche (nel 2013 stanziati 650mila euro. Nella lettera si chiede al Ministero dell’Ambiente di «farsi carico di un coordinamento tra i vari Enti competenti delle attività connesse ad una corretta gestione delle popolazioni di cinghiale».