Il dottor Leonardo Cazzaniga e l'infermiera Laura Taroni, dell’ospedale di Saronno precedentemente sospetti come responsabili di alcuni omicidi nella corsia ospedaliera, non potranno essere licenziati, non bastano neanche prove evidenti. Non è un errore, ma solamente, come spiega Luca Failla, avvocato esperto di diritto del lavoro e socio della studio LabLaw, «una conseguenza dell’applicazione del contratto collettivo del lavoro sanitario che in virtù della presunzione di innocenza “blocca” anche il licenziamento». «Lo stesso contratto che stabilisce che in questo momento, nonostante i due amanti siano in custodia cautelare, sospesi dal lavoro, percepiscano comunque la metà dello stipendio», specifica l'avvocato.
Il contratto nazionale del comparto sanità, come molti altri contratti collettivi, prevede che il dipendente oggetto di indagine e di restrizione della libertà personale in via cautelare non possa essere licenziato fino all’eventuale condanna definitiva in Cassazione. L’unica misura possibile per il datore di lavoro, che in tal caso è l’ospedale, è quella della sospensione dal lavoro nel periodo di custodia cautelare. Con il versamento, nel frattempo, di metà della retribuzione. Se la custodia cautelare dovesse cessare, poi, l’azienda sanitaria può revocare o prolungare la sospensione per tutta la durata del procedimento. Con l’ipotesi che Leonardo Cazzaniga e Laura Taroni (o anche di solo uno dei due) potrebbero chiedere e ottenere da un Giudice del lavoro di rientrare in servizio in veste di medico o infermiera e riprendere a seguire il proprio lavoro.
«Il caso di Saronno è la punta dell’iceberg di una stortura che deve essere risolta, in cui i contratti collettivi tutelano in modo più stringente i lavoratori che sono coinvolti in procedimenti penali rispetto a quelli che non lo sono e che invece possono essere legittimamente licenziamenti. Così si finisce che i dipendenti che si sono macchiati di fatti più gravi sono più tutelati», spiega Failla.
Per comprendere può essere utile fare un esempio. Se in un’azienda scoppia una rissa, il datore di lavoro può licenziare l’aggressore; ma se parte la denuncia, l’aggressore non può essere licenziato. «Una volta avviato il procedimento penale scatta la presunzione di innocenza prevista dalla Costituzione. Ma un conto è il procedimento penale, un altro la valutazione della condotta del dipendente dal punto di vista lavoristico» esplica l’avvocato.
Ma non è tutto, poichè portebbe anche essere presa, in sede definitiva la decisione di un patteggiamento. «Accade sempre che, a seguito del patteggiamento», spiega Failla, «il Giudice del lavoro valuti la sentenza in modo neutro, come elemento a favore dell’innocenza del lavoratore». Che quindi non può essere licenziato.
Il caso dell'ospedale di Saronno in ogni caso, non è passato in osservato, motivo per il quale possiamo ipotizzare che la custodia cautelare non verrà sospesa, visto che c’è il pericolo di reiterare il reato. Ma una cosa è indubbia: anche se non potranno essere licenziati, almeno per il momento il “dottor morte” e l’“infermiera killer” potrebbero non tornare in servizio. Niente è da escludete però,negli annali del diritto del lavoro non è complicato trovare casi di dipendenti che facevano il palo nelle rapine o altri che spacciavano droga in carcere e, dopo il patteggiamento, il datore di lavoro si è visto costretto a reintegrarli. «Le organizzazioni sindacali hanno una grossa responsabilità in questo», dichiara Failla. «L’eccesso di garantismo è stato trasformato in una stortura che tutela a prescindere i lavoratori anche quando sono platealmente coinvolti in vicende che giustificherebbero il licenziamento in tronco».