La storia di Marcello Cairoli, malato terminale morto nel Pronto Soccorso dell’Ospedale San Camillo di Roma, è una brutta storia, soprattutto per un Paese come l'Italia che ha una legge sulle cure palliative - la 38/2010 - straordinariamente moderna ed inclusiva, che sancisce il diritto all'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore per tutti i cittadini italiani. È sempre difficile esprimere un giudizio su una vicenda di cui non si conoscono tutti i dettagli soprattutto perché chi lavora in ambito sanitario conosce invece la complessità di un sistema che non sempre consente di dare le risposte che si vorrebbero.
Tuttavia questa morte, avvenuta in un modo e in un luogo sbagliati, ci dice che il lavoro che pure da anni in Italia viene condotto da tanti operatori sanitari, spesso supportati da realtà del non profit, è ancora lungo. Ci sono morenti e non "destinati a morire" come incautamente detto dinanzi a quel letto.
Serve un cambiamento radicale dello sguardo che restituisca ai medici - e alla società civile nella sua interezza - la capacità di accogliere la morte come processo inevitabile e di farsi così carico della sofferenza del fine vita con tutta la cura che merita. E serve che questo processo sia favorito da scelte di politica sanitaria che consentano la realizzazione di cure palliative diffuse in modo capillare sul territorio nazionale.
L'esperienza di Vidas, in 34 anni di assistenza completa e gratuita in cure palliative e terapia del dolore a oltre 31mila malati terminali a domicilio e nell'hospice Casa Vidas, ci dimostra come il tempo da dedicare al malato terminale e la collaborazione con medici di base e strutture sanitarie, che assicuri dimissioni protette, siano cardini essenziali di una cura capace di restituire realmente ed efficacemente dignità all'ultimo tratto della vita.
Giada Lonati
Direttrice sociosanitaria Vidas