Ä– il compleanno della Repubblica.
Fuor di retorica, ci sembra giusto dare il nostro contributo alla festa in modo critico, analizzando gli ultimi dati relativi all’impatto sul piano lavorativo di un atteggiamento culturale antico degli italiani, a metà tra peculiare forma mentis sociale e malcostume vero e proprio.
Parliamo del familismo. Della tendenza, cioè, a considerare (e sfruttare) la famiglia non come una componente che deve integrarsi in tutto e per tutto con la società esterna, bensì come una struttura-fortilizio che è fatta, spesso, per sopraffare la società al di fuori di essa sulla base di una crudele contrapposizione tra affini ed estranei.
Ne soffre, anche, una regolare distribuzione del lavoro, come dicevamo. E come certifica l’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori. Infatti secondo i dati contenuti in un rapporto, il Plus 2014, reso noto alla fine di maggio, almeno 1/3 degli italiani trova lavoro grazie alle reti familiari, che vengono coinvolte nel 60% dei casi ( in alternativa, sono comunque validissimi i buoni uffici di amici di famiglia). Solo un desolante 3,4% della popolazione trova lavoro attraverso vie più regolari (cpi, centri per l’impiego), e non è certo assai più incoraggiante il 5,6% che riesce ad occuparsi usufruendo dei servigi delle agenzie di lavoro interinale.
Molto più alta è la percentuale degli aspiranti lavoratori che si affidano all’auto-candidatura (58%), senza contare tutti coloro che preferiscono fare i topi di giornale e spulciare gli annunci a stampa (qui ci troviamo su una quota oscillante tra il 44% e il 30%). Quanto ai cpi e alle agenzie, va però detto anche che, se non sono al top come canali di intermediazione diretta nell’ottenimento di un lavoro (per capirci: vado in un'agenzia e ottengo senza ulteriori passaggi il lavoro che chiedo o che cerco), funzionano assai meglio come intermediari indiretti verso di esso (cioè quando l'agenzia si offre di diventare motore di ricerca per il lavoro che chiedo o per uno affine): in questo ruolo i cpi risultano utili al 33% dei disoccupati, mentre le altre agenzie al 30% di essi.