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26 aprile 1986: il disastro nucleare di Chernobyl

Trent'anni fa l'incidente radioattivo in Ucraina

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26 aprile 1986. Centrale nucleare di Chernobyl, Ucraina, ore 01,23.

Nella sala di controllo è in corso un test di sicurezza sul reattore 4, per testarne le capacità in caso di malfunzionamento.
Il test, insieme alle carenze strutturali e una scarsa conoscenza sull'impianto di una parte dei tecnici determinano il mancato raffreddamento del nucleo nel reattore e la formazione di consistenti sacche di vapore, che portano una pressione verso il tetto dello stesso fino al suo scoperchiamento per esplosione e una serie di violenti incendi nella centrale rilasciando fumi e vapori radioattivi nell'atmosfera che verranno dispersi per gran parte dell'Europa.

Le squadre di emergenza accorrono alla centrale, allertate per domare degli incendi da corto circuito, alimentando inconsciamente con l'acqua delle autopompe i vapori letali dispersi nell'aria e che porteranno a morte certa tutti i pompieri dopo pochi giorni, mentre i tecnici nella centrale cercano di ripristinare l'impianto di raffreddamento per evitare un disastro maggiore: alcuni di loro si sacrificheranno per raggiungere lo scopo, operando senza protezioni, inspiegabilmente assenti.

La vicina città di Pripyat, che ospitava i dipendenti della centrale e le loro famiglie per un totale di circa 43.000 persone, viene sgomberata in fretta solo dopo molte ore dall'incidente. Un'evacuazione che coinvolgerà fino a 116.000 persone e che sarebbe dovuta durare solo pochi giorni ma sarà permanente a causa dell'alto tasso di radiazioni, che determinerà una zona proibita nel raggio di 30 km dal luogo del disastro.

Un'emissione radioattiva superiore almeno duecento volte la bomba atomica sganciata su Hiroshima nel 1945 e che si protrarrà ancora per centinaia di anni.

Settanta morti accertate per l'incidente, una cifra ancora non calcolata per le morti conseguenti da esposizione alla radioattività che variano dalle quattromila (fonti ONU) ai sei milioni (fonti Greenpeace) da qui ai prossimi decenni.

Trent'anni anni dopo la centrale di Chernobyl è chiusa da un sarcofago di acciaio e cemento, costruito frettolosamente e che nel corso degli anni ha già mostrato segni di cedimento, mentre si sta ancora lavorando alla costruzione di un secondo contenimento per la struttura, tra difficoltà tecniche e reperimento di fondi per l'opera.

Nonostante l'impatto totale del disastro sulla vita europea, che ha prodotto l'abolizione dell'energia nucleare per molti paesi come l'Italia, l'aumento massiccio di malattie tumorali, la contaminazione  di un numero imprecisato di animali, sia domestici che selvatici per contare solo le principali conseguenze, Chernobyl  è un nome che arriva dal passato, legato agli anni ottanta del secolo scorso e poco compreso per le nuove generazioni.
Un'altra conseguenza indiretta, dovuta all'atteggiamento politico di allora, teso a minimizzare la faccenda per non indurre panico e naturalmente alle scarse informazioni che l'Unione Sovietica al tempo rilasciò sull'incidente, che negò in un primo momento fino a che non venne provata la provenienza della ricaduta radioattiva, trasportata dai venti in molti paesi europei.

In occasione di quest'anniversario si focalizzerà l'attenzione su un avvenimento le cui ricadute sono visibili nelle migliaia di persone direttamente coinvolte, molte delle quali sono addirittura tornate nella zona di alienazione, per abbandono o desiderio di morire nella propria casa.

Parlare di questo disastro con cifre e percentuali affidabili è impossibile al momento, quindi ci si affida al ricordo, alle testimonianze di chi lo ha vissuto e lo vive, perché sia compreso e ci sia una consapevolezza allargata davvero a tutti, per evitare una nuova tragedia di queste proporzioni.

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