Ė un gruppo di ventisette lettere private del fisico tedesco naturalizzato americano Albert Einstein (1879-1955): senz’alcun dubbio il più grande corpus einsteinianum di scritti personali. Appartenevano ad un collezionista statunitense, che giovedì 11 giugno li ha consegnati ad una casa d’aste californiana, Profiles in History. Ora potrebbero essere battuti per una cifra oscillante tra i cinquecentomila e il milione di dollari.
Come per molti altri grandi del pensiero filosofico e scientifico dall’età rinascimentale ad oggi, anche nel caso di Einstein è lecito affermare che l’epistolografia si può a buon titolo considerare parte integrante della sua produzione “ufficiale”, costituita da fondamentali scritti saggistici e memorialistici (anche questi ultimi, sempre a sfondo scientifico).
Si tratta di lettere indirizzate a familiari e amici, e scritte, a seconda dei casi, nelle due lingue che il fisico padroneggiava in egual misura, il tedesco e l’inglese.
Dal punto di vista contenutistico, lo scienziato padre della relatività si esercita in alcune delle più significative su temi già ampiamente frequentati nella tradizione epistolografica classica: c’è la lettera consolatoria per un’amica che aveva scoperto l’infedeltà del marito, e una lettera esortativa, per un figlio che doveva essere motivato a studiare più seriamente la geometria.
C’è un messaggio di auguri per i settanta anni di uno zio, quello stesso zio che gli regalò, quando era bambino, un treno a vapore giocattolo, stimolando in lui la curiosità e quindi l’amore per la scienza e la tecnica. Ma il pezzo più prezioso è forse la missiva-confessione in cui Einstein esprime la sua personalissima idea di Dio. Conversando per lettera con un uomo non meglio identificato nei primi anni ’40, Einstein dice chiaramente di non accettare per sé la definizione di ateo, preferendo quella di agnostico. “Non condivido lo spirito crociato dell’ateo militante. Io preferisco un atteggiamento di umiltà intellettuale nei confronti del grane mistero della natura e dell’essere.”