Sul fatto che Alessandro Magno, il conquistatore dell’impero persiano, morì di febbri malariche a Babilonia (giugno 323 a.C., a soli 33 anni), non c’è dubbio alcuno. Lo scrivono (e lo cantano) persino gli Iron Maiden in un brano del 1986. L’effettiva ubicazione della sua sepoltura, invece, è una certezza che va via via sempre più scomparendo. In età classica non c’erano molte discussioni: il corpo di Alessandro riposava in Egitto, a Menfi, come scrive Pausania, o meglio ancora ad Alessandria, la città dal lui fondata (e ne fece sorgere altre dodici col suo nome, in giro per il Medio Oriente) e destinata a diventare la capitale della terra dei faraoni. Nella città del Museo, della Biblioteca e del Faro il sepolcro del Macedone divenne presto una meta di pellegrinaggio. Tanti i visitatori illustri: Cesare, che a 30 anni, quando era questore in Spagna, aveva pianto ai piedi di una statua di Alessandro a Cadice, deprecando come all’età in cui quel re aveva già compiuto metà delle sue impree egli, invece, non avesse ancora fatto nulla di notevole; Ottaviano, non ancora Augusto; Caracalla, che per Alessandro aveva un’ammirazione sconfinata. Eppure già nell’antichità non mancavano delle fonti discordanti: Eliano, l’autore più noto per la sua Natura degli animali (II sec. d.C.), in un’altra opera, la Storia varia, scrive che intorno al cadavere del grande re si apri una vera e propria contesa tra due dei suoi diadochi, Tolomeo, destinato a regnare in Egitto, e Perdicca, cui era toccata la reggenza di tutto l’impero conquistato da Alessandro. E questo per colpa di una profezia, secondo la quale il luogo dove il figlio di Filippo II fosse stato sepolto avrebbe ricevuto il dono di una fortuna divina (il macedone lasciò questa terra da condottiero imbattuto, come Cesare). In realtà la profezia interessava soprattutto Tolomeo, già proiettato nella creazione di un proprio dominio in riva al Nilo, e quindi disposto a tutto per tenere con sé quella salma-talismano. Perdicca, fedele collaboratore di Filippo II prima e di Alessandro poi, nella sua intenzione di riportare il corpo del sovrano nella terra natia, cioè in Macedonia, probabilmente (ma è solo un’ipotesi) ubbidiva invece a quelli che potevano essere stati gli effettivi desideri del morente. Poi però, come racconta sempre Eliano, mentre il feretro del re (a 30 giorni dalla sua morte!) muoveva da Babilonia, alcuni agenti inviati da Tolomeo procedettero ad uno scambio, e nel carro funebre, al posto della salma vera (o di ciò che ne restava), da essi trafugata, misero un pupazzo. E se lo scambio si fosse ritorto contro Tolomeo? Se, cioè, quel pupazzo (se veramente è mai esistito) fosse finito sotto il suolo di Alessandria, e quindi il grande sepolcro del re macedone fosse stato, all’insaputa di tutti… solo un cenotafio?
La pista di una sepoltura greca del macedone, pur rimanendo sempre sul tappeto, fino a questo momento non aveva mai entusiasmato troppo gli archeologi. Nel frattempo altre ipotesi, anche più inverosimili, erano venute fuori: come quella, ormai accantonata, proposta nel 2008 dal professor Andrew Chung, secondo cui Alessandro riposerebbe a Venezia, sotto la basilica di San Marco. Lo studioso inglese sosteneva che a provarlo ci sarebbe la presenza di un antico scudo macedone tra i resti archeologici ritrovati sotto le fondamenta dell’abside maggiore.
Tuttavia le notizie che si rincorrono nelle ultime settimane rimescolano nuovamente gli scenari: gli archeologi pensano di essere ad un passo dal varcare l’unica e vera tomba di Alessandro, a Kastà, non lontano da Anfipoli, città ricca di memorie classiche E’ un fronte su cui, in realtà, si lavora già dal 2012. Anfipoli, città della Tracia oggi compresa nel territorio di Serres, divenne macedone nel 356 a.C., quando fu conquistata da Filippo II, e da allora fu seconda solo a Pella come prestigio all’interno del regno. Qui vennero confinati la moglie di Alessandro, Rossane, e il figlio Alessandro IV (da Cassandro, che regnò in Macedonia dal 302 al 297 a.C. e fu lo stesso che fece uccidere la madre del grande re, Olimpiade). Qui si scava, ormai da alcuni anni, una tomba a tumulo con una circonferenza di 498 metri, il cui progetto architettonico sembra già appurato si debba ricollegare a Dinocrate di Rodi, che per Alessandro curò anche il piano urbanistico della capitale egiziana. Tomba a tumulo e Dinocrate: sono questi i primi due elementi a favore della decisiva identificazione. Già in tempi antichi, in realtà, si diceva che la tomba di Alessandro era “a tumulo” (era chiamata Soma), anche se si pensava che fosse, se non proprio ad Alessandria, magari nei suoi pressi (vicino all’oasi di Siwa, per esempio). Si aggiunga che a far da fastigio al tumulo è venuto fuori un leone stante, in tutto simile a quello scoperto sempre ad Anfipoli agli inizi del ‘900 e che è l’emblema del re macedone; e inoltre, che a presidiare l’ingresso è stata trovata una coppia di sfingi alate, forse un omaggio di Dinocrate al sincretismo greco-orientale sempre molto caro al re o comunque alla sua passione per un Paese, l’Egitto, che non uscì mai dal suo cuore. Anche delle due sfingi si sapeva da secoli: e non è improbabile che proprio quest’elemento possa aver contribuito ad ingenerare, per secoli, la confusione nella localizzazione del sepolcro. Insomma: come nella materializzazione di un sogno, tutti i tasselli fino ad oggi soltanto immaginati attraverso l’altrui ricordo lontano si stanno rivelando nella loro concretezza agli occhi degli archeologi…
Nel 1977 a Verghina, qualche chilometro a ovest di Anfipoli, venne ritrovata la tomba del padre di Alessandro, Filippo: che alla fine Perdicca abbia felicemente portato a termine la sua importante missione, riuscendo a dare il riposo eterno al condottiero invitto a non molta distanza dal genitore, come forse lo stesso Alessandro voleva?