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Poesia del Giorno: "A Zacinto" di Ugo Foscolo

Dedicata a chi vive lontano dalla propria terra

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A ZACINTO (U. FOSCOLO)

Né più mai toccherò le sacre sponde

Ove il mio corpo fanciulletto giacque,

Zacinto mia, che te specchi nell’onde

Del greco mar, da cui vergine nacque

 

Venere, e fea quelle isole feconde

Col suo primo sorriso, onde non tacque

Le tue limpide nubi e le tue fronde

L’inclito verso di colui che l’acque

 

Cantò fatali, ed il diverso esiglio

Per cui bello di fama e di sventura

Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

 

Tu non altro che il canto avrai del figlio,

O materna mia terra; a noi prescrisse

Il fato illacrimata sepoltura.

 

(1802)

 

Oggi ricorre l'anniversario di morte di Ugo Foscolo. Nel giorno triste che segue il terremoto in Marocco, migliaia di persone sentono sulle spalle la nostalgia propria del poeta: lontani da casa, guardano impotenti la devastazione della propria terra.

Un esilio, scelto o forzato che sia, è sempre quello che è: la distanza dalla propria terra, la recisione da ciò che c'è caro. 

Non s'ha tempo di pensare alla nostalgia quando, giovinetto di sedici anni, si parte alla scoperta per il mondo. Foscolo è sempre stato un animo ribelle e idealista, che con coraggio si è esposto per la patria che scelse e mai abbandonò i precetti in cui ha creduto. In cerca di avventura e di voglioso mettersi al servizio di ciò che credeva giusto, il poeta partì, e di Venezia fece la sua casa.

Gli anni passarono inesorabili, la fiamma della rivoluzione non si spense nel cuore di Foscolo, ma scoppiò d'indignazione quando vide naufragare la rivoluzione francese con il Terrore della ghigliottina e il potere tirannico di Napoleone. Il poeta capì che gli ideali sono belli quando pensati, ma l'uomo non è fatto per metterli in pratica.

E così che nacque la malinconia dell'esilio; quando la vita che si sceglie delude a tal punto da far guardare indietro.

"Lo spettacolo della bellezza basta forse ad addormentare in noi tristi mortali tutti i dolori?" scrive ne "Le ultime lettere di Jacopo Ortis". La risposta è sempre in bilico: probabilmente la bellezza di Zante allevierebbe la delusione di Foscolo, ma lui sa che mai ci tornerà. "Né mai più toccherò le sacre sponde dove il mio corpo fanciullesco giacque". Un anatema, un imperativo: così inizia la lirica. Foscolo è consapevole del suo destino d'esiliato, e del fatto che le scelte che ha fatto gli impediranno di tornare.

Perché Zante non è solo un luogo: è un ricordo, un tempo passato. Le delusioni che il poeta ha vissuto e la durezza della vita l'hanno trasformato, e anche se tornerà a metter piede sulle sue coste, Zante e Foscolo non si riconosceranno. 

Ed è proprio la lontananza a trasformare Zacinto in paradiso terrestre, il luogo da cui nacque Venere e che il grande Omero cantò nei suoi versi.

Foscolo è un anti-Ulisse, che combattè l'esilio per tornare a casa e alla fine ci riuscì. Al contrario, niente ostacola Foscolo al ritorno, se non fosse che la sua Zante non esiste; è un posto ideale impresso nella memoria, e il ritorno fisico sancirebbe la sua scomparsa.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,

O materna mia terra; a noi prescrisse

Il fato illacrimata sepoltura.

Stupenda ultima strofa di perpetua malinconia; il destino ha allontanato il figlio, che solo il suo lamento può donare alla madre. Del loro rapporto rimane una sepoltura "illacrimata", non pianta, sconosciuta.

La produzione di Foscolo verte tutta intorno al tema dell'esilio, della lontananza e della malinconia. E in questo ameno giorno di lutto mondiale, il mio pensiero va a chi, lontano da casa, vorrebbe tornare.

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