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La poesia del giorno: "Il Signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien

"Un anello per domarli / Un anello per trovarli / un anello per ghermirli / e nel buio incatenarli"

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IL SIGNORE DEGLI ANELLI (J.R.R. TOLKIEN)

Tre Anelli ai re degli Elfi sotto il cielo che risplende,

Sette ai Principi dei Nani nelle loro rocche di pietra

Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,

Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra

Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.

Un Anello per domarli,

Un anello per trovarli,

Un Anello per ghermirli

e nel buio incatenarli,

Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende

(29 Luglio1954)

Così inizia il libro che per antonomasia ha buttato le basi del fantasy moderno; "Il signore degli Anelli" di J.R.R. Tolkien, di cui oggi è l'anniversario di morte.

Tolkien non è stato solamente uno dei più influenti scrittori del XX secolo: è stato un linguista, un filologo, un simbolista; creatore di mondi. Perché la sua mastodontica opera apre le porte a ciò che accade nella Terra di Mezzo, di cui conosciamo cultura e tradizione, avvenimenti passati, topografia del territorio e, addirittura, la lingua.

Tolkien non si limita a farcela immaginare: ce la propone con tanto di traslitterazione, in caratteri eleganti e ricercati. Fa parlare i personaggi in questa lingua melodica e sconosciuta, talmente accurata che, se si volesse, si potrebbe imparare come si impara l'inglese, il francese o il greco antico.

Dieci anni ci sono voluti, e per l'immensità dell'opera è un tempo relativamente corto. Tolkien, cattolico professore di storia Medievale anglosassone, nella sua pletora di romanzi inserisce i più cari archetipi umani; usando simboli e metafore racconta il viaggio della vita, le differenze tra bene e male, e raccoglie l'eredità Romantica (soprattutto tedesca). La Terra di Mezzo è un mondo come il nostro: la differenza sta nell'esplicita manifestazione magica del giusto e dello sbagliato, concetti a noi perlopiù celati.

Gli anelli: travestito da benevolo venditore di artifatti, Sauron, oscuro signore, archetipo del male, vendette gli anelli in giro per il mondo. Così cambiò per sempre la vita dei suoi abitanti: da quel momento in poi, nessuno potè dirsi libero. "Tre anelli ai re degli elfi..." "Sette ai re dei nani..." "Nove agli uomini mortali..." . Come un diavolo tentatore, titillò le creature con sogni di benigna comunione tra le razze, per poi assoggettarli al suo potere.

Solo una popolazione rimane incontaminata, totalmente ignorata dall'inganno: gli Hobbit. E sono proprio gli hobbit ad incarnare molti aspetti della condizione umana nel romanzo di Tolkien; piccoli esseri gioviali e tranquilli che vivono nella Contea, un giardino dell'Eden, inconsapevoli e disinteressati alle faide del mondo, finché Gandalf, simbolo di guida Cristica, si manifesta: la purezza degli Hobbit li rende perfetti per la missione. Eppure anche tra gli Hobbit si annida il potere dell'anello, precisamente nella cassapanca di Bilbo Beggins: lo trovò durante la sua avventura, descritta ne "Lo Hobbit". Bilbo farà molta fatica a separarsene; perché è questo che l'anello fa: t'imbriglia, ti ghermisce.

Il viaggio: fuga, ricerca, inizio, crescita. Il viaggio è la vita, i personaggi lo affrontano con la nobile causa di distruggere l'anello, ma si trovano a fare i conti con i propri impulsi. Perché non solo gli umani sono soggetti al peccato: gli anelli hanno cambiato i popoli; hanno corrotto anche i saggi elfi e gli intransigenti nani.

Come specifica la lirica, "...Gli Uomini Mortali, che la triste morte attende". Sono gli unici che possono essere uccisi dal tempo, nel senso tradizionale del termine. Il loro destino è chiamato il "dono di Eru" (Eru è la personificazione dell'universo): dopo una lunga vita, gli uomini vanno dove "gli elfi non sanno". Tolkien parla della morte, quindi, come di una benedizione: la fine serve agli uomini a perseguire uno scopo, perché di natura sono più corruttibili delle altre specie. Meno potenti degli elfi, non hanno capacità magiche, e non hanno il destino innato dei nani nella ricerca dell'oro. La morte da' agli uomini lo scopo di fare qualcosa di importante, di lasciare un'impronta e di continuare la stirpe."Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi"[Aragon sul letto di morte ad Arwen].

 Infine, come non nominare Gollum? Bilbo Beggins non è stato infatti il primo possessore dell'anello tra gli Hobbit. Smeagol, un simpatico Hobbit pescatore, lo trovò mentre era sulla sua barca. Ciò che Smeagol diventò è la manifestazione estrema di come l'anello trasforma le creature: deperito e impazzito, sdoppiato tra bene e male, tra voglia di redenzione e maligna cattiveria.

Gollum seguirà l'anello per tutto il viaggio di Frodo, nel tentativo di riprenderselo. Eppure sarà Gollum stesso a condurre Frodo e Sam fuori dalle Paludi Morte, e addirittura a salvare Frodo, attratto dalle anime dei cadaveri. C'è del buono in Smeagol, o persegue semplicemente il suo fine? Il lettore verrà lasciato con questo dubbio; proverà pena per il povero Hobbit, corrotto nello spirito e nel corpo dalla lunga esposizione al male dell'anello.

"Il signore degli Anelli" è una storia di redenzione e di lotta contro il male. Essendo considerato il fantasy per eccellenza, molti vedono nel seppur articolato lavoro di Tolkien la semplice distinzione tra bene e male; il bianco e nero classico delle fiabe.

Eppure una lettura attenta, specialmente della fine, dimostra tutto il contrario. Il fatto stesso che gli anelli hanno corrotto uomini, elfi, hobbit e nani dimostra che sono tutti inclini al peccato, che nessuno è esente al male. Eppure, tutti sanno che distruggendo l'anello di Sauron saranno privati anche del loro potere, ma decidono, in una similitudine con il libero arbitrio, di sacrificarsi per il bene.

Una volta che l'anello è stato distrutto e gli anelli satelliti hanno smesso di funzionare, gli elfi si rendono conto della loro condizione immortale, e comprendono perché la morte è un dono: tutto ciò che hanno creato sparirà, mentre loro continueranno a vivere. Abbandoneranno quindi la Terra di Mezzo, per migrare a Valinor. Frodo, ferito durante il suo viaggio e incapace di ritrovare la serenità, farà lo stesso. Metaforicamente, Valinor è il paradiso: lontano dalle tribolazioni; un posto dove vivere in pace.

Molti sono morti nel viaggio per la distruzione dell'anello, e molte cose sono cambiate. Agli eroi rimane un senso di compiutezza paradossalmente doloroso. E' la fine dell'opera, lo stesso sentimento che l'avido lettore prova nelle ultime pagine di un romanzo.

Eppure, il fine è lieto: il male è stato annientato, Sauron è distrutto  e la Terra di Mezzo è salva. Ma la condizione umana ha sempre bisogno della lotta, del proprio contrapposto; senza combattere, in estrema pace, non si è niente.

L'opera di Tolkien rimane un capolavoro dell'ultimo secolo, una lettura trasversale per età e generazioni diverse. Nelle sue pagine c'è l'umanità tutta, con tutte le sue sfumature. 

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