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Poesia del Giorno: "L'albatro" di Charles Baudelaire

La seconda poesia nel capitolo "Spleen et ideàl"

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L'ALBATRO (C. BAUDELAIRE)

Spesso, per divertirsi, i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
indolenti compagni di viaggio delle navi
in lieve corsa sugli abissi amari.

L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le grandi ali bianche.

Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E' comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!

Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, impediscono
che cammini le sue ali di gigante.

 ("I fiori del male"; 1857)

Il 31 Agosto del 1867 moriva a Parigi il più conosciuto e apprezzato tra i poeti francesi, il grande Baudelaire. La sua produzione letteraria rispecchia il tormento che provò in vita, nonostante i numerosi tentativi di guarigione e automedicazione.

Baudelaire nacque in una famiglia agiata il 9 Aprile 1821, e non furono i problemi economici a tormentarlo; il padre sessantenne morì quando lui aveva sei anni, e la madre ventisettenne si risposò quasi subito.

Il piccolo Charles non andò mai d'accordo con il patrigno, uomo rigido e austero, che alla prima occasione lo spedì in collegio. Sono numerose le lettere di Charles Baudelaire rivolte alla madre, vere e proprie richieste di affetto e di aiuto, spesso sminuite e ignorate. Probabilmente è da ricercare in questo rapporto travagliato il motivo della depressione dello scrittore e la sua grande ispirazione artistica. 

Il ragazzo diventò scapestrato e combina guai, i richiami alla madre e al patrigno da parte della scuola si raddoppiavano di settimana in settimana. Sentendosi ignorato, Baudelaire incanalava nelle marachelle (che crescendo divennero veri e propri atti di teppismo) il dolore di essere ignorato dalla genitrice.

Con l'intento di allontanare il più possibile Baudelaire dalla moglie in pena, il patrigno gli pagò un biglietto su una nave, e lo costrinse a partire per un lungo viaggio nelle Indie.

Scalpitò e si oppose, ma alla fine Baudelaire dovette ringraziare il patrigno che, con l'intento di fagli un dispetto, gli fece scoprire nuove culture e nuove tradizioni, la natura incontaminata, la liberazione del viaggiare per mare. Baudelaire anelava allontanarsi dal perbenismo e dal buoncostume francese, ipocrita e frivolo, e lo scoprì a bordo della Paquebot des Mers du Sud.

Da questo viaggio nacque il suo amore per l'esotismo. Ciò lo portò ad un esaltazione della natura tale da avvicinarlo al genere lirico, che prende in prestito i paesaggi e la forza della natura per descrivere i sentimenti dello scrittore. Il viaggio nelle Indie, che durò dieci mesi, ispirò la sua opera più famosa: "I fiori del male".

"L'albatro" è una delle poesie più importanti della raccolta. Ispirato da ciò che vide sulla Paquebot, Baudelaire utilizza una similitudine per descrivere la sua condizione: a volte, per divertirsi, i marinai catturano un albatro e ne spezzano l'ala.

L'animale, così elegante in cielo, è goffo e maldestro sulla tolda, poiché le sue grandi ali ne osteggiano il movimento. " E' comico e brutto, lui prima così bello!".

Per tre strofe il poeta descrive il tormento dell'albatro "re dell’azzurro, maldestro e vergognoso" in terra, circondato dai gretti marinai, che lo sbeffeggiano e torturano.

E così si sente il poeta, "principe delle nubi", esule in terra. Il poeta nasce con una sensibilità superiore, che espone alle critiche e alle incomprensioni, che porta sì al cielo ma anche alla rovinosa caduta in terra. Così come le ali dell'albatro gli sono di impaccio sulla tolda della nave, così la superiorità spirituale dell'intellettuale lo rende estraneo a questo mondo, vittima degli scherni e dell'ipocrisia.

In una società che ha come valori la produttività, l'utile e il senso pratico, il pensatore viene emarginato e deriso, specialmente se il suo pensiero non si uniforma alla massa. E' incredibile come questo pensiero sia tutt'ora attuale.

Charles Baudelaire predisse con questa poesia ciò che successe dopo la pubblicazione de "I fiori del male". Il successo non mancò: la gente comprò il libro spinta da un interesse morboso, poiché Baudelaire parlava dei vizi e delle oscenità nascoste dietro all'immagine perbenista della società ottocentesca. Non stupisce il fatto che, in linea con l'apparente perbenismo, il libro venne processato per immoralità e l'editore si trovò costretto a sopprimere molte poesie.

Baudelaire cercò sempre di trovare serenità con sé stesso e l'ambiente in cui viveva, e quasi ci riuscì. A differenza di molti suoi contemporanei, ebbe una lunga relazione con Jeanne Duval, che gli fa da amante, moglie, madre, musa. Grazie a lei sopravvisse qualche anno in più, ma nel 1861, sopraffatto dalla depressione e dalle continue critiche, tentò il suicidio.

Sopravvisse, e ancora una volta tentò di riprendere in mano la sua vita. Tentò di entrare all'Academie Francaise ma non ci riuscì; con Jeanne si trasferì a Bruxelles, in cerca di una vita più serena. Il dolore dell'anima non passò, anzi: diventò tossicodipendente, cercando sollievo nell'hashish, nel vino e nelle oppierie.

A nulla valsero, questa volta, i tentativi di Jeanne. Nel 1866 e nel 1867 venne colpito da due ictus, e nulla potè fare la donna se non assisterlo nel suo dolore.

Baudelaire muore a Parigi a soli 46 anni. Nel 1949 la Corte di Cassazione francese riabilitò la sua memoria.

[Prima edizione de "I fiori del male" con note dell'autore]

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