Si sente cigolare una porta, e sul pavimento di legno dei tacchi di sughero scricchiolano.
L'andatura di un uomo rieccheggia tra le pareti e attraversa i corridoi, mentre i personaggi dei quadri esposti lo accusano con lo sguardo.
Gira un angolo, poi un altro. Non ha fretta, il museo è chiuso per le ristrutturazioni e gli operai non sono ancora arrivati, ma l'uomo si appresta quando arriva alle Salon Carrè.
In una cornice modesta di ottone, su una piccola tela, la Gioconda gli sorride.
Vincenzo Peruggia, questo è il nome dell'uomo. Lavora come inbianchino al museo del Louvre: è un immigrato italiano. Sono le 6:50 del mattino, e lui la notte prima l'ha passata in uno sgabuzzino del museo, così da poter agire indisturbato.
Molte volte è passato davanti la Monalisa, con qualche utensile in tasca, ma mai aveva avuto l'occasione di guararla così, dritto negli occhi. Pensa che sia incredibile come un quadro così piccolo possa sembrare così vero, così umano. Più guarda la Gioconda e più il suo mistero si manifesta. E' una donna o un uomo? E' felice o triste? Sta ridendo o sta ghignando?
La campana di Saint Germain suona le 7:00, manca poco all'inizio del turno di lavoro,e Peruggia si riprende dall'ipnosi. In due secondi decide che il sorriso di Lisa è un invito; si toglie il cappotto, lo sbatte per togliere la polvere, lo posa sul quadro delicatamente, e lo solleva dal chiodo.
Va' verso una scala di servizio. Sulla strada incontra anche qualche lavoratore assonnato, ma nessuno gli da' retta. Arrivato in un posto appartato, si sbarazza di cornice e vetro, rimpacchetta la Gioconda nella sua giacca, ed è fuori.
Il furto più rocambolesco, improvvisato e meno professionale della storia è riuscito.
Anche fuori dal Louvre, è incredibile che Peruggia sia passato inosservato. Preso dal brio della riuscita, sbagliò autobus. Scese, e prese un taxi. Potenzialmente, tantissimi lo videro passeggiare spavaldo per la città con un quadro coperto da un cappotto sotto il braccio, ma nessuno si dette pena di preoccuparsi. Dopotutto, Parigi degli anni '10 era piena di pittori e artisti stravaganti.
Arrivò finalmente a casa. Non sappiamo dove mise il Da Vinci; ma sicuramente se ne prese grande cura: il suo appartamento era mangiato dalla muffa, e il quadro non subì alcun danno.
Iniziò la pantomima. Si spettinò allo specchio, si abbottonò male il cappotto (che aveva rindossato), e scese con andatura barcollante. Ritornò al Louvre.
Aspettandosi la baraonda, trovò invece i colleghi a lavoro. Quando il capocantiere gli chiese dove fosse, rispose di essersi preso una brutta ubriacatura il giorno prima e di aver fatto tardi. Nessuno gli dette la benché minima attenzione. Nessuno si era ancora accorto del furto.
In realtà , qualcuno aveva notato che il quadro non c'era, ma si era pensato ad uno spostamento temporaneo; solo dopo qualche ora, quando la Gioconda non tornò al suo posto, venne avvertito il direttore del museo. In poco tempo, il Louvre gremiva di poliziotti. Fu trovato il vetro rotto e la cornice abbandonata, la porta da cui Peruggia era fuggito, e nient'altro. Capirono finalmente che il quadro era stato rubato.
Si cercò di tenere la notizia riservata, ma già dopo due giorni tutti i giornali sapevano dell'illustre scomparsa. E così i giornalisti formularono le più assurde teorie: alcuni accusarono l'Imperatore tedesco, all'epoca in lite diplomatica con i francesi, altri se la presero coi pittori moderni, accusandoli dell'assurdità di voler distruggere l'arte classica per sostituirla con quella moderna. C'era anche chi diceva che il piano, perpetrato da un qualche collezionista, fosse quello di sostituire la Gioconda con un falso, per tenere per sé l'originale, ma che per qualche motivo non si era riusciti nell'intento.
Intanto Peruggia scalpitava, ma riuscì a rimanere al di sopra di ogni sospetto all'interrogatorio. Vennero interrogati tutti coloro che erano presenti quel giorno al Louvre, e vennero perquisite le loro case. Incredibilmente, nella casa del ladro il quadro non venne trovato: l'aveva nascosto bene.
La polizia brancolava nel buio, e iniziò ad accusare la gente più disparata. Primo tra tutti il poeta Apollinere, colpevole di avere in casa sua delle statuette fenicie, non inventariate, che qualcuno non meglio specificato identificò come appartanenti al museo. Anche Pablo Picasso fu accusato, per aver usato quelle stesse statue come modello per il suo "les demoiselles d'Avignon".
Passarono i giorni, le settimane, i mesi, e ormai si persero le speranze. Peruggia non poteva crederci. Il quadro venne dato per disperso.
Passarono due anni. Era il 1913, e il direttore degli Uffizi a Firenze organizzò una mostra commemorativa di Da Vinci. Sul giornale girò il suo comunicato stampa, dove chiedeva ai collezionisti europei in possesso di quadri del maestro di portarli in Toscana per l'esposizione, pratica in uso ancora oggi.
In quel frangente, venne fuori la vera intenzione di Peruggia, il vero movente.
Al direttore degli Uffizi arrivò una lettera firmata "il ladro della Gioconda". La missiva diceva che avrebbe portato a Firenze il quadro, in cambio della promessa che non sarebbe mai stato riconsegnato ai francesi. La Monalisa doveva tornare a casa in Italia.
Il direttore condivise la lettera con le autorità che, tenuto conto che potesse trattarsi di uno scherzo, decise di tentare l'inganno.
Nel Dicembre 1930 Peruggia fu attirato a Firenze. Ancora una volta eluse i francesi, e riuscì ad attraversare la frontiera con il quadro in valigia. Arrivato nella capitale Toscana, si incontrò con il direttore nell'Hotel Tivoli, oggi conosciuto come Hotel Gioconda. Gli venne chiesto del tempo per valutare l'effettiva autenticità del quadro e Peruggia, pensando di essere tra amici e avendo finalmente portato a termine il suo compito, iniziò a girare per la città .
Una volta dimostrato che il quadro fosse ciò che Peruggia diceva, la polizia gli fu addosso e Vincenzo Peruggia fu arrestato.
La fortuna del ladro, però, non si esaurì nemmeno dopo l'arresto: durante il processo, i giudici furono inteneriti da questo giovane che, in buona fede, pensava di fare una cosa buona. Pensava che la Gioconda fosse stata rubata da Napoleone, una notizia falsa usata (ancora oggi) per rimarcare l'antipatia tra Italia e Francia. Quando la sua storia si diffuse, tanta gente chiese la sua scarcerazione, chiamandolo patriota ed eroe.
La questione si risolse con una pena molto blanda, che Peruggia scontò per un totale di sei mesi.
Questa storia fu talmente assurda che rimbalzò in tutto il mondo. All'epoca la Gioconda era un quadro abbastanza conosciuto, ma agli addetti ai lavori. Molti storici pensano che fu proprio questo l'evento che trasformò la Monalisa nella prima icona pop della storia.
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