La“Canestra di frutta” eletto logo della celeberrima mostra tenuta nel 2010 nelle scuderie del quirinale, apriva subito il confronto tra il visitatore e il genio del pittore maledetto, per proseguire con tutte le altre opere dal “il Bacco” i Bari” “la Deposizione” “Il Concerto di giovani” . Chiunque sia andato in quelle scuderie con l’anima aperta può ben dire che non stava visitando una mostra ma un teatro.
Veniva in mente la scuola del piccolo mago Harry Potter , Hogwarts dove i personaggi dei quadri di punto in bianco iniziano a parlare e a muoversi e talvolta escono dalla tela. Ci si aspettava che da un momento Giuditta una volta finito con Oloferne lasciasse cadere la spada e chiedesse “Ho fatto la cosa giusta?” che il Cristo flagellato si avvicinasse e poggiasse la testa sulla spalla, del primo passante, che il Bacco irriverente facesse l’occhiolino a una bella donna.
Quante volte davanti ai quadri di altri geni quali Leonardo da Vinci abbiamo pensato
“Sembrano fotografie” e davanti a Raffaello “sono pura poesia” Davanti a Caravaggio noi vediamo l’unione del realismo e della poesia, del sacro e il profano, ammiriamo il capolavoro
Caravaggio non fotografa semplicemente l’umanità e allo stesso tempo non vuole ammantare di poesia la realtà. Non vuole mistificare neppure la rappresentazione della divinità. Furono diversi infatti i suoi quadri rifiutati da ordini monastici per i suoi santi e le sue madonne troppo “popolani” Caravaggio dipinge delle vicende e le usa come pretesto per catturare l’anima umana. Individua uomini e donne, dopo averli cercati per le vie Roma, e li traduce su una tela. Attua un semplice trasferimento, imprigiona la loro essenza, catturando le luce che una determinata azione accende nei loro corpi, ci mostra il loro lampo vitale circondato sempre e comunque da un’oscurità inquietante. E i chiaroscuri dei suoi quadri sapientemente fusi alle luci e alle ombre riprodotte nelle sale dai curatori della mostra, ci insinua quella lieve angoscia dentro, che si mescola allo stupore, all’ammirazione, alle mille domande che sorgono sulla sua vita disgraziata e dissennata. Ci lascia commossi, inquieti e riconoscenti.
un libro intitolato “Caravaggio una luce nelle tenebre” dello studioso americano Roy Doliner a pagina 71 ci fa sapere che : “Nella sua mansarda d’artista il soffitto e la finestra dell’abbaino erano dipinti completamente di nero e la parte superiore del lucernario era stata sfondata per far entrare la luce che si rifletteva in uno specchio convesso collocato vicino alla finestra in modo da concentrarsi come in un riflettore nell’oscurità dello studio sottostante. Focalizzando la luce intensa dall’alto creava il famoso chiaroscuro teatrale delle sue opere, evidenziando i modelli e gli oggetti principali delle scene eliminando i dettagli inutili con l’uso dello scuro” Caravaggio usava insomma una rudimentale camera oscura, improvvisata con i mezzi dell’epoca. Con lo specchio l’immagine veniva proiettata direttamente sulla tela creando poi un effetto ricalco e quindi il più reale possibile. Questo sistema facilitava il suo lavoro, velocizzava i tempi e gli lasciava più tempo libero per dedicarsi alle sue occupazioni preferite: i bagordi le risse e il gioco.
Tesi avvalorata anche da alcuni scritti dei suoi contemporanei e dal fatto che conoscesse la tecnica perché a servizio del cardinale romano Del Monte, uomo illuminato e al corrente di tutte le novità scientifiche del tempo tra cui anche la costruzione dell’ultima camera oscura della Porta a Venezia.
Che dire? La sua improvvisata camera oscura gli era di aiuto certo…ma è veramente il suo grande segreto? Che tanto genio lo si possa spiegare solo svelando l’uso di uno specchio convesso? Che tutto di Caravaggio lo si debba sempre ricondurre alle sue intemperanze e alle sue poco ortodosse inclinazioni e che non abbia nessuna grandezza spirituale un uomo che dipingeva quadri simili?
Pochi lo credono per fortuna.
Tra gli ultimi quadri nel percorso della mostra e nella sua vita troviamo “Davide e Golia” la testa di Golia è un autoritratto di Caravaggio a tre mesi dalla sua morte. Guardate bene l’espressione di Davide e quella di Golia nella testa mozzata. Se riusciamo veramente ad entrare dentro a questo dipinto, capiremo che la risoluzione del rebus e lì. Pietà, superbia, umiltà arroganza, luci ,ombre, eroi buoni, giganti cattivi, sacro e profano, ideali sublimi e istinti più bassi, tutto convive nelle tavole di Caravaggio così come dentro tutti noi e quindi nel mondo, ma lui solo ha saputo fissare il caos su una tela in modo talmente umano da risultare ultraterreno.
Nei quadri di Caravaggio vediamo noi stessi riprodotti in modo eccelso. Forse è questo il segreto della sua arte immortale.