L’autore, Enzo Risso è direttore scientifico della società di sondaggi Swg e docente di Sociologia di processi culturali e comunicativi. Nel suo volume ha raccolto venti anni di risposte ai sondaggi della società triestina. Un libro che non contiene numeri e tabelle ma una panoramica a 360 gradi sul nostro paese e la narrazione dei sentimenti profondi vissuti dagli italiani di questo ultimo ventennio.
Dott. Risso a chi e a cosa serve un libro del genere?
Il libro è stato scritto e pensato per cercare di far capire chi sono, che cosa pensano, che cosa vogliono gli italiani. si basa su circa 70.000 interviste e traccia un’immagine complessa di che cosa si muove nell’opinione pubblica. Serve quindi a portare alla luce le molte sfaccettature presenti nella nostra realtà. Non vuole essere un libro portatore di alcuna verità. Vuole essere uno strumento per pensare, riflettere, fare i conti con gli italiani. è un libro che vuole aggiungere conoscenza, non vuole predicare alcuna verità.
A chi serve? Francamente a chiunque voglia dare un’occhiata al Paese. a chi vuole provare a conoscere un po’ di più i suoi concittadini. Quindi può essere utile ai politici, come agli imprenditori, ai giornalisti come ai pubblicitari, ai manager come ai cittadini comuni.
Può essere una buona lettura? Oppure un memorandum da far cadere sulla scrivania di chi può rendere concreto le aspirazioni dei vostri campioni?
Il libro è costruito con brevi paragrafi, non ci sono valanghe di numeri, ma un po’ di dati per far capire meglio. È una lettura che non impegna a cui si possono accostare tutti. È un libro utile per tutti i politici, per quelli di destra e di sinistra, per i pentastellati e per i moderati, per i movimentisti e per i lobbisti, per il semplice fatto che cerca di narrare e far vedere che cosa pensano gli italiani su un vasto e ampio quadro di temi. Più che un memorandum è un quaderno di appunti sull’opinione pubblica, che si può spulciare, prendendo qua e là delle cose, apprendendo delle notizie, verificando delle suggestioni.
Tra rabbia e speranza si intravede il coraggio degli italiani di cambiare le cose oppure no?
Sì. Il Paese vuole cambiare. non si piace come è. Vuole dare una sterzata. La rabbia è un sentimento misto di difesa e caduta, ma è anche rabbia per costruire un nuovo futuro. La speranza è la spinta a non aspettare, è la voglia di una parte del Paese di rimboccarsi le maniche e mettersi all’opera.
L’Italia non è più un Paese fermo. Le spinte, le accelerazioni, le frenate, i disincanti e le speranze, si legano tra di loro iniziando a marcare un percorso di transizione. Nella società avanza un quadro di non più e non ancora, di rivendicazioni parziali e di prese di posizione verso il nuovo, che attendono risposte. Queste possono giungere dal populismo, dal rivendicazionismo minoritario, dalla chiusura, dal vuoto propositivo e prospettivo che prende legittimità per la sua capacità di rispondere al bisogno di onestà e cambiamento. Di fronte a queste scorciatoie, una via riformatrice e rigeneratrice del Paese e delle sue potenzialità, non può pensare di imboccare anch’essa qualche via breve. Per chi vuole dare il segno del cambiamento e porsi all’altezza del mutamento d’epoca deve mettere in campo una strategia a tre punte, proponendo un’idea di modus politico, una visione di Paese, una concezione di società. A queste tre risposte non si può sfuggire. Nessuno, in realtà, vi può sfuggire. La partita non è più uno scontro per il governo, ma un conflitto su quale società del futuro. Il tema non è solo programmatico, ma è, innanzitutto, visionario, emozionale, ideale. La sfida dei contenuti non è la messa in campo di una lista della spesa delle cose fatte o da fare, bensì la capacità di strutturare un vero programma di transizione: un piano di medio–lungo periodo in grado di coinvolgere i cittadini sia su un piano ideale, sia su quello del domani, della società che si vuole costruire, del Paese che vogliamo essere.
La nazione immaginata dagli italiani chiede uno sforzo di riscatto, un sussulto, un guizzo verso il nuovo. Al centro di questo processo ci sono almeno 2 temi: un nuovo progetto di giustizia sociale, di riduzione delle diseguaglianze e un patto etico per la politica. L’Italia si cerca migliore. Vuole essere migliore. Vuole una classe dirigente in grado di guidarla fuori dalle secche, ma anche dai vecchi costumi. Al centro del voto oggi, come domani, ci sarà proprio la capacità di raccontare e progettare un Paese nuovo. Un Paese più armonico, comunitario, giusto, onesto e relazionale. L’Italia che guarda al futuro dal 2016 è un Paese che vuole abbandonare la voluttà del lasciarsi andare, del “rifugiarsi - come disse Galli della Loggia – nel retroterra ospitale e caldo delle sue elementarietà (famiglia, legami primari, luoghi noti, confortevoli abitudini quotidiane)”. È una nazione che ha voglia di tornare a essere forte, protagonista e fiera di sé. Un Paese che vuole lasciare le secche (e le false illusioni) degli ultimi decenni ed è pronto a dare fiducia a chi saprà incarnare la complessità delle proprie aspirazioni di cambiamento. La sfida è posta, ma sullo sfondo c’è sempre il rischio che a vincere sia chi incarna la complessità delle paure degli italiani, perché, come diceva il filosofo francese Edgar Morin: “una società può progredire in complessità solo se progredisce in solidarietà”.
E’ lei che ha pensato al libro o sono stati gli esiti delle ricerche che lo hanno reclamato?
La seconda che ha detto. Il libro è emerso dalle ricerche che ho fatto e che faccio ogni anno. È venuto fuori dalle migliaia di dati che ogni mese osservo e studio.