Il disagio a seguito delle rivelazioni in merito alle retribuzioni Coldiretti monta in molte Organizzazioni provinciali. Dall’Umbria riceviamo questa lettera aperta che pubblichiamo nella sua interezza. Non desideriamo fare alcun commento visto la completezza dei contenuti esposti che ovviamente condividiamo.
Cari amici della Lega della Terra,
vi scrivo in seguito ai temi da voi trattati recentemente, relativi alla questione Siena e stipendi vertici Coldiretti.
Siamo soci Coldiretti da generazioni. Io personalmente, per un breve lasso di tempo, ho ricoperto alcuni incarichi, all’interno dell’associazione.
Un progetto valido quello che da anni stà portando avanti Coldiretti, che rischia di infrangersi grazie ai pochi che detengono il potere. Quando entrai in Coldiretti (avevo ancora il latte ai denti), il mio predecessore, mi illustrò la struttura e la gerarchia, costituita fondamentalmente da due piramidi: una politica, capeggiata dai presidenti, con funzioni appunto politiche e l’altra dirigenziale, capeggiata dai direttori con funzoni di gestione economica. Ci volle poco per capire che in realtà, la funzione politica era espletata di fatto dai dirigenti e non dai politici. Qualsiasi rinnovo di cariche, secondo me, passa per le mani di un dirigente e viene scelto in base al grado di malleabilità e facilità gestionale.
E’ per questo che Coldiretti, di fatto non è in mano ad agricoltori. L’ultimo palese segnale, il placet sull’Imu, ennesimo balzello del governo che rischia di far chiudere un’altra buona fetta di imprese, già gravate da difficoltà economiche derivate da anni di congiuntura dei mercati e da politiche di sviluppo che mirano solo ad un obiettivo: creare burocrazia per far sì che l’agricoltore nel giro d’affari delle politiche comunitarie, sia solo una partita di giro.
Eppure Coldiretti tace, questa tassa sembra dipinta come una patrimoniale in beni di lusso e fonti di ingenti proventi. Perchè noi “siamo politicamente corretti”, non bisogna scendere in piazza. Scendendo in piazza, non si risolve nulla. Quale alternativa allora? I tavoli delle trattative.
Ma certo. A porte chiuse, lontani dai bifolchi, si negozia bene, per N motivi.
Sono proprio i tavoli delle trattative ad aver azzerato la vera lotta sindacale in Italia; i rappresentanti delle associazioni, negoziano di fatto consensi alla politica; la merce di scambio, molto spesso è la burocrazia che tiene vive le casse di entrambe le parti.
Mai come ora, l’agricoltura è stata dipinta come “l’isola felice”, perché “è l’unico settore trainante della nostra economia”, perché “se vogliamo ripartire, bisogna ripartire dall’agricoltura”.
Bene. In realtà carte alla mano, le cose non stanno proprio così. Se l’agricoltura riesce a cavarsela (in alcuni casi), è perché la crisi la conosce da tempi remoti, perché le prime crisi di mercato risalgono ai primi anni novanta e continuano fino ad oggi, intervallate da alcune false speranze, che altre non erano che boccate d’ossigeno per evitare l’asfissia.
Se l’agricoltura è così dipinta dai media, la colpa è anche di chi, dovrebbe tutelarci e dovrebbe, alla luce del sole, combattere la pressione fiscale opprimente, la burocrazia smodata, le lungaggini dei pagamenti Pac e Psr, la volatilità dei prezzi di mercato.
La colpa è forse nostra, dei contadini che si lamentano nei mercatini rionali e tacciono nelle assemblee e nelle sedi in cui c’è da controbattere, senza attaccare un sistema ormai palesato anche ai più ciechi. Un’omertà dovuta alla forte paura, paura data dal fatto che, i cavilli burocratici ci costringono in stato di continuo bisogno di certe strutture ed è proprio lo stato di continua necessità, il loro cavallo di battaglia.
Questo sistema imploderà, è solo questione di tempo”.
Lettera firmata