Roma, omaggio di Mattarella a Resistenza

Deposte due corone d’alloro

Gianluca Vivacqua
08/09/2015
Attualità
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8 settembre 1943-8 settembre 2015.

Settantadue anni dopo l’inizio della guerra civile in Italia, la fase conclusiva – e la più orrenda per il nostro Paese – della II guerra mondiale, il presidente della Rpubblica, Sergio Mattarella, accompagnato dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha reso omaggio ad un capitolo che di quella stagione fu il primo, sanguinoso episodio. La mancata difesa di Roma, che consentì ai tedeschi, i quali, comunque, avevano già pronto un piano in tal senso (divisioni tedesche stazionavano stabilmente a nord e a sud dell’Urbe, e gli alleati anglo-americani erano ancora mlto lontani), di occuparla entro poche ore dall’ufficializzazione dell’armistizio di Cassibile (firmato con gli anglo-americani il 3 settembre).

Fuggito in modo precipitoso re Vittorio Emanuele III, l’Esercito italo-sabaudo di stanza nella capitale, letteralmente disorientato, si divise tra chi  voleva consegnare subito la città ai tedeschi, senza abbozzare alcuna reazione, e chi invece voleva resistere, per amor patrio (molto meno per amor regio) o perché non voleva accettare una sottomissione senza prima aver almeno combattuto, o più semplicemente per attenersi ad un ordine segreto che in quelle ore circolava:  in base ad esso le forze armate avrebbero dovuto comunque trovarsi pronte contro eventuali e prevedibili ritorsioni nazi-fasciste.

Proprio la paura di queste ritorsioni era stata alla base della vigliacca ritirata reale. In prima linea tra i reparti dell'esercito capitolino  che dovevano eseguire l'ordine c’erano le divisioni del Corpo d'armata motorizzato comandato dal generale Giacomo Carboni; ma ad esse, quasi subito, si unirono anche parecchi civili e combattenti non regolari, provenienti da Roma, naturalmente, ma anche da altre parti d'Italia. E furono loro a costituire il grosso dell'armata di "difesa". L'opposizione di questi uomini alle truppe tedesche, meglio equipaggiate e superiori in numero, fu strenua ma infelice: moirono, uinfatti, circa 144 militari e 183 semplici cittadini. Una strage, se possibile, ancora maggiore fu evitata grazie ad una trattativa-lampo che, dopo un giorno e mezzo di combattimenti (9-10 settembre) permise, in pratica, alle truppe del Reich di avere le chiavi della Città Eterna. Ma di certo non aiutò il fatto che il grosso delle truppe, sempre al comando di Carboni, venisse improvvisamente dislocato a Tivoli. Dunque, alla fine, vinse la linea della sottomissione diplomatica, in attesa che la marcia di avvicinamento degli Alleati si completasse. 

Porta San Paolo e parco della Resistenza di Roma: queste le due tappe del “viaggio presidenziale” nella memoria. Entrambe, onorate dalla deposizione di una corona d’alloro, segno del passaggio di uno Stato repubblicano che non dimentica le sue radici (la Repubblica nacque nel sentimento dei partiti antifascisti proprio durante l’infuocato triennio 1943-45, essendosi il re esautorato con le sue mani).

La giornata di Mattarella è iniziata alle ore 10.00 a Porta San Paolo, a pochi passi dalla Piramide Cestia. Non è un caso: fu lì che il generale Carboni consegnò a tre partigiani, Luigi Longo (futuro segretario Pci), Roberto Forti e Antonello Trombadori tre auitocarri zeppi di armi, consentendo ai civili e ai paramilitari di unirsi ai soldati regolari. Di lì il Capo dello Stato ha quindi raggiunto a piedi il parco della Resistenza. Oltre alla Pinotti, c’erano al suo fianco anche i vicepresidenti dei due rami del Parlamento, Giachetti per la Camera e Fedeli per il Senato. A questa comitiva si è aggiunta, naturalmente, anche una rappresentanza dei vertici degli Enti locali, costituita dal vicesindaco di Roma, Marco Causi, e dal presidente del Consiglio regionale del Lazio, Daniele Leodori.

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