"Uscio e bottega" un affresco? No un acquerello con la delicatezza e la leggerezza che solo questo tipo di pittura sa dare e in questo caso il paesaggio è la città di Firenze e i suoi abitanti ritratta nei suoi scorci più belli e fiabeschi, con pennellate lievi ma non per questo meno incisive. Un film di gruppo , corale e per questo ancora più apprezzabile in questa epoca di esasperato personalismo, interpretato da 66 attori e 250 comparse.
Il regista Marco Daffra nel presentare questo film ha detto di voler lasciare un ritratto di Firenze ai posteri, non una cartolina ma una testimonianza visiva di quello che è Firenze in questi primi anni del secondo millennio.
Una Firenze edulcorata dai troppi stranieri, dalla sporcizia e dal degrado che racconta la vicenda di un gruppo di amici non più giovani ma sempre vitali, energici, polemici e sagaci come ogni fiorentino doc. Il protagonista, Lapo Corsini partecipa a una trasmissione televisiva dal titolo "Uscio e bottega" (che poi è anche un modo fiorentino per indicare l'esterma vicinanza tra due cose o persone ) , un simil Porta a Porta dove può finalmente polemizzare con i responsabili di una certa TV e rappresentare la voce del popolo.
Daffra ha voluto uscire da Firenze nei contenuti e porre l’attenzione sui temi di attualità nazionali se non universali , di cui Lapo, una volta arrivato negli studi televisivi di Roma si fa interprete portavoce e giudice nel salotto buono dove gli esponenti del potere , religioso, culturale e sportivo esprimono opinioni ormai da anni , scollate dal buonsenso e dal vero sentimento dell’uomo comune.
Lapo si difende bene ma nel secondo tempo si perde nei bagni dello studio televisivo e torna a casa affranto e leggermente confuso tanto da sognare di essere chiamato dal Papa , interpretato dal bravo e compianto Carlo Monni, che grazie alla sua brillante apparizione in tv lo vuole incontrare. Un sogno che lui confonde con la realtà e dal quale seguirà un risveglio amaro compensato dall’affetto del suo gruppetto di amici che lo ha seguito nella sua vicenda televisiva con partecipazione e trasporto dalla sala del circolo dove Lapo va a fare due chiacchere e giocare a carte.
Si fa strada sul finale l’amara consapevolzza che contro i colossi dell’establishment niente può l’uomo della strada, che può comunque riuscire a ritargliarsi una sua dimensione di spensieratezza e allegria grazie alla famiglia, agli amici con cui fare zingarate e alla sua città: una Firenze ancora magica e nonostante tutto ancora capace di lenire i dolori, le disillusioni e i bruschi risvegli.
Camei azzeccatissimi con personaggi del calibro di Giancarlo Antognoni, e Giorgio Panariello ; tuttavia quello che ci preme sottolineare aldilà del parterre di attori, è lo spirito di questo film tenue come un acquerello, dalla bellissima fotografia capace di dare una visione netta di una città, di una nazione e di un periodo storico denso di domande che non ottengono risposta.